Della Befana, vecchietta trasandata, si racconta di tutto di più. Ecco i metodi di spostamento della simpatica vecchina, la sua iconografia e la simbologia della scopa, del carbone e della calza
Gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte e numerose toppe colorate ovunque: è questa l’iconografia fissa della Befana che, il più delle volte, si fa scendere da un camino, escogitando un altro espediente in quelle case dove il camino non c’è.
La tradizione italiana racconta varie versioni sui metodi di spostamento della simpatica vecchina. La prima è che usa un vecchio carretto malandato. Se quest’ultimo si blocca( e succede spesso per colpa dei sassi, paragonabili agli ostacoli della nostra vita) ed un uomo l’aiuta, in cambio la Befana gli dona il “legno magico”, che si trasforma poi in oro ed egli diverrà ricco nel tempo e nel corpo poiché è stato ricco d’animo. Un altro modo in cui si sposta, quello più noto, è mediante la classica scopa della strega che, oltre ad essere un archetipo importante a livello fallico e per la fertilità, è importante per altri motivi. “Cavalcare una scopa” significa avere la facoltà di viaggiare tra il mondo spirituale-shamanico e quello corporale ed indica lo stato di trance, collegato al rito della pianta dello Stramonio, tipica pianta estatica della stregoneria europea. Più raramente, la Befana viene raffigurata a cavallo del gatto nero.
Veniamo al carbone che vuole essere un castigo o un monito, avendo una funzione grossolanamente educativa per l’infanzia. Ma perché proprio il carbone? Prescindendo da poche leggende che collocavano l’abitazione della Befana all’inferno, secondo alcuni studiosi esso simboleggerebbe l’energia presente nel ventre della terra, il fuoco nascosto, pronto a rivivere, acceso al primo sole primaverile. E’ per questo motivo che alcune popolazioni celtiche usavano scendere per le strade, allo scoccare della mezzanotte che inaugurava il nuovo anno, donandosi pezzi di carbone. Il carbone, simbolicamente, è l’immagine del peccato che annerisce l’anima o la propria coscienza. Il bimbo, dalla quantità trovata nella calza, ricava la misura dei suoi comportamenti stando al giudizio di chi è preposto alla sua educazione.
Ovviamente, è la calza a fare la Befana. Si tratta di un vero e proprio logo millenario risalente alle antiche divinità femminili del mondo pagano che governavano il passaggio dall’anno vecchio al nuovo; prima fra tutte la ninfa Egeria, consigliera soprannaturale di Numa Pompilio, il secondo dei mitici “Sette Re di Roma” che, proprio alle Calende di Gennaio, appendeva una calza nella grotta della dea, vicino Porta Capena e alle terme di Caracalla, trovandola, all’indomani, puntualmente piena di regali, ma anche di ammonimenti e profezie. Oltre ad Egeria, vi era la divina Strenia, da cui deriva il nostro termine “strenna” che, in origine, era il regalo speciale che i genitori romani facevano ai bambini.
Durante la Sigillaria, la festa delle statuette, si regalavano biscotti dolci a forma di bamboline e animaletti, assieme a una grande quantità di frutta secca e fave…era il tempio di regali, profezie e calze. La vecchietta che cavalca la scopa, sta di fatto, rappresenta la personificazione femminile dell’anno, il simbolo della natura giunta alla fine del suo ciclo e perciò raffigurata povera, striminzita, raggrinzita, dispensando premi e castighi, cose buone da mangiare e cose immangiabili come aglio e carrube, cenere e carbone. Dalla calza bio a quella a chilometro zero, da quella ecocompatibile a quella equosolidale, da quella sostenibile a quella responsabile, la Befana si adatta ai tempi di crisi, senza rinunciare a far sognare grandi e piccini.