La pulizia degli oceani dalla plastica deve iniziare dalle coste e non dalle “isole” di immondizia come la “Great Pacific garbage patch“. A giungere a questa conclusione è stato uno studio dell’Imperial College di Londra, pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, secondo il quale progetti come quello dello “spazzino dei mari” dell’olandese Boyan Slat non sarebbero il metodo più efficiente per ripulire le acque da microplastiche ed evitare di danneggiare gli ecosistemi marini. I ricercatori britannici hanno utilizzato un modello sugli spostamenti della plastica nell’oceano per determinare quali siano le aree migliori per dispiegare “collettori” per le microplastiche simili a quelli concepiti dal progetto “Ocean Cleanup“, ovvero barriere galleggianti che convogliano la plastica e la rimuovono. Se sistemi simili fossero posizionati lungo le coste darebbero sicuramente maggiori benefici. In particolare in un progetto di lungo termine, di 10 anni, se queste barriere fossero poste lungo le coste di isole cinesi e indonesiane rimuoverebbero il 31% delle microplastiche che stanno facendo “ammalare” l’oceano. I collettori che si trovano invece a ridosso dell’isola di spazzatura rimuoverebbero solo il 17% di plastica. “La Great Pacific garage patch ha un’enorme massa di microplastiche“, spiega Peter Sherman dell’Imperial College di Londra, “ma la maggior parte di plastica si trova lungo le coste, da dove entra nell’oceano“. Ecco perché, aggiunge il dottor Erik van Sebille, è meglio rimuovere le plastiche “lungo coste densamente popolate e sfruttate economicamente“, prima “che abbiano la possibilità di danneggiare” gli ecosistemi. Le plastiche che si trovano nelle “isole” di spazzatura, sottolinea, “hanno percorso un lungo tragitto e potenzialmente hanno già fatto molti danni“.
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Oceani: ripulirli dalla plastica significa iniziare dalle coste
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