Nelle zone piemontesi ad alta intensità vinicola, la mortalità e i ricoveri per malattie legate al consumo di alcol sono inferiori rispetto alle altre aree della Regione. E questo nonostante una maggiore proporzione di cittadini faccia uso bevande alcoliche. Il segreto sta negli stili di consumo, che sono meno dannosi. E’ quanto emerge da una ricerca condotta dell’Università del Piemonte Orientale e dall’Istituto di ricerca e formazione Eclectica di Torino, coordinata da Fabrizio Faggiano e Franca Beccaria, rispettivamente epidemiologo e sociologa, e presentata oggi a Cuneo. Esaminando i dati dell’Istat, quelli del sistema di sorveglianza Passi e i dati sulle dimissioni ospedaliere, i due ricercatori hanno messo a confronto i dati di mortalità e malattia legati al consumo di bevande alcoliche delle ‘aree vitate’ e di quelle ‘non vitate’ del Piemonte rilevando che la situazione più positiva si registra proprio laddove esiste una forte tradizione vitivinicola.
I tassi di mortalità e quelli di ricovero per malattie associate all’abuso di alcol sono più bassi rispetto a quelli di quasi tutte le aree piemontesi prese come riferimento. Inoltre, nelle zone di produzione i consumatori sono nettamente superiori rispetto alle altre aree ma comportamenti di consumo considerati a rischio, che vanno dal consumo fuori pasto al ‘binge drinking‘, cioè la cosiddetta abbuffata alcolica, sono meno diffusi in tutte le fasce di età e soprattutto tra i giovani. I due esperti hanno quindi condotta 80 interviste individuali rivolte a donne e uomini di tre diverse generazioni (18-25 anni, 45-52 anni, 70-77 anni) e realizzate in Provincia di Cuneo in un campione di comuni suddivisi tra le Langhe e il Roero e poi in pianura dove il vino viene consumato, ma non prodotto. Dalle risposte è emerso che la spiegazione sta nella maggiore competenza dei bevitori delle zone di produzione.
In pratica, dallo studio si evince come il consumo sia diventato sempre di più un prodotto culturale: l’intenditore di vino è un ‘bevitore competente‘, che sa riconoscere le proprietà del prodotto, sa parlarne, adotta uno stile di consumo limitato e consapevole, si distingue e diventa un modello, contribuendo alla diffusione di comportamenti simili al suo. E anche tra i ventenni non mancano i bevitori competenti: sono per lo più giovani educati al bere in famiglia, guidati da genitori esperti. Nei comuni in cui si produce il vino, infatti, secondo la tradizione, si trasmette nelle nuove generazioni l’orgoglio per l’appartenenza territoriale e la qualità dei suoi prodotti. Quindi analizzando i dati, i due studiosi hanno sottolineato come sia necessario ripensare alle politiche sanitarie contro l’abuso di alcol che dovrebbe essere di contrasto ai comportamenti a rischio. E, allo stesso modo, la famiglia dovrebbe essere incoraggiata ad educare i figli ad un consumo culturale, consapevole, moderato e adulto. Lo studio è stato pubblicato da Carocci nel volume dal titolo ‘La rivoluzione del bere. L’alcol come esperienza culturale‘, a cura di Franca Beccaria.