Presso il Kennedy Space Center della NASA, i ricercatori dell’Università del North Dakota stanno testando il primo modello di tuta che dovrebbe accompagnare i futuri astronauti sulla superficie di Marte.
La tuta, chiamata NDX-1, deve possedere una serie di caratteristiche la rendano più simile ad una vera e propria navicella spaziale autosufficiente, puntando necessariamente su un’ampia mobilità, resistenza e leggerezza.
Non è una sfida facile: bisogna miniaturizzare tutte le componenti elettroniche, e creare tessuti e protezioni che permettano agli astronauti la più ampia capacità di movimento, soprattutto per i lavori sul terreno marziano.
Bisogna tener presente che su Marte ci sono venti e tempeste di sabbia, la temperatura oscilla tra i -100°C ed i 20°C, la gravità è un terzo di quella terrestre e la pressione atmosferica è solo l’1%.
“La nostra intenzione è quella di far progredire lo stato dell’arte in materia di design e sviluppo di nuove tute spaziali, cercando di proporre soluzioni per gli esploratori del futuro“, afferma Pablo De Leon, a capo dei ricercatori che stanno eseguendo i test.
L’effettiva funzionalità della tuta è stata testata in mezzo al deserto ed in ambienti terrestri che simulino quello marziano; ora che NDX-1 si trova al Kennedy Space Center, è cominciata una nuova serie di test in un ambiente chiuso ed isolato in cui vengono simulate tutte le possibili condizioni note che potrebbero incontrare futuri astronauti su altri mondi.
Di particolare importanza è l’utilizzo in questi test della regolite: le missioni Apollo sbarcate sulla Luna ci hanno mostrato come la fine regolite si insinui ovunque nella tuta, nelle apparecchiature e nei moduli stessi. I designer possono così testare l’effettivo isolamento delle giunture e delle varie componenti rispetto a questo materiale invasivo onnipresente soprattutto sulla superficie lunare.
Nel frattempo, presso il Johnson Space Center, la NASA sta testando altri due prototipi: Prototype Exploration Suite (PXS) e Z-2. La prima, adatta ad ambienti a con bassa gravità o gravità assente, la seconda punta invece alla massima mobilità sulla superficie di un pianeta minimizzando l’equipaggiamento necessario per svolgere tutte le attività esplorative.