San Valentino, altro che diamanti: ecco i minerali più rari, in Sardegna un esemplare unico

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Domani è San Valentino e come ogni anno è boom per l’acquisto di diamanti. Saranno pure il regalo perfetto, ma non sono poi così unici e speciali come crediamo. Per rendersene conto basta sfogliare il primo catalogo di tutti i minerali più rari del pianeta: sono 2.550 e ognuno di essi è estratto in meno di cinque siti al mondo. Alcuni sono disponibili in una quantità pari ad una zolletta di zucchero, altri non potrebbero mai diventare gioielli perché ‘spariscono’ se esposti alla luce del Sole come dei veri vampiri. Tra le specie più rare ce n’è anche una dalla Sardegna, l’icnusaite, che conta un unico esemplare. ”Se volete donare alla vostra amata un anello davvero raro, dimenticate i diamanti e offritele una icnusaite sarda”, afferma ironicamente Robert Hazen, mineralologo del Carnegie Institution tra gli autori del catalogo.

Diamanti, rubini, smeraldi e altre gemme preziose si possono trovare in diverse località e sono vendute in quantità commerciali, dunque non sono rare nel senso che intendiamo noi”, scrivono gli esperti sulla rivista American Mineralogist. Delle 5.090 specie di minerali conosciuti al mondo, meno di 100 formano il 99% della crosta terrestre. Il resto è rappresentato dai minerali più rari, che possono essere suddivisi in quattro categorie: quelli che si formano in condizioni di pressione e temperatura uniche, quelli che sono composti da elementi quasi impossibili da trovare nella crosta terrestre, quelli che vengono difficilmente campionati perché localizzati in luoghi estremi e difficili da raggiungere, e infine quelli che spariscono letteralmente con il sole, la pioggia o l’umidità. Il loro valore non è certamente economico, come nel caso dei diamanti o dei minerali usati nell’elettronica. La loro preziosità sta invece nel poter rivelare cosa succede al di sotto della superficie terrestre e come si è evoluta la vita sul nostro pianeta. Due terzi dei minerali noti ”e la gran parte dei minerali più rari, sono infatti legati a modificazioni biologiche”, concludono i ricercatori.

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