Le donne italiane ottengono risultati migliori nel loro percorso scolastico e formativo, rispetto ai colleghi maschi, ma per quanto riguarda il lavoro sono ancora penalizzate in termini non solo occupazionali e contrattuali, ma anche e soprattutto retributivi. I dati in merito arrivano dalle indagini AlmaDiploma e AlmaLaurea. La lettura dei dati conferma un differenziale a favore dei maschi che, a parità di condizioni, non diminuisce con il passare del tempo e permane anche quando le donne intraprendono percorsi disciplinari che offrono maggiori chance occupazionali o dove sono storicamente più presenti. Il Rapporto 2015 sul Profilo dei diplomati conferma che le donne, a parità di condizione, nel campo della formazione se la cavano meglio dei loro colleghi e questo fin dalla scuola media inferiore, che concludono portando a casa un voto d’esame molto spesso più elevato dei maschi: il 36% delle ragazze contro il 29% dei ragazzi ottiene 9 (su 10) o più. E quando arrivano tra i banchi delle superiori, che siano quelli di un liceo, un tecnico o un professionale, le femmine raggiungono ancora una volta ottimi risultati. Sono anche più regolari (il 91% delle femmine non fa ripetenze contro l’85% dei maschi) e raggiungono voti più alti: il voto medio di diploma è rispettivamente 78,4 su cento per le ragazze contro 75,2 dei ragazzi. E studiano di più: il 38% dedica allo studio e ai compiti a casa più di 15 ore settimanali contro il 16% dei maschi. Fanno più stage durante gli studi: il 54% delle ragazze contro il 51% dei maschi. Compiono più esperienze internazionali: il 41% delle femmine contro il 27% dei maschi, in particolare organizzate dalla scuola. Le ragazze, d’altronde, intraprendono in maggior misura percorsi formativi linguistici e per questo conseguono anche un maggior numero di attestati (35% contro 27%). Sono maggiormente impegnate in attività di carattere sociale: il 22% delle ragazze svolge attività di volontariato contro il 14% dei ragazzi. Nel tempo libero intraprendono più attività culturali, e non perché devono ma perché lo vogliono: le svolgono il 55% delle femmine, in larga parte su iniziativa personale, contro il 41% dei loro colleghi. Sono maggiormente interessate a proseguire gli studi, soprattutto con l’università: 74% delle ragazze contro il 62% dei ragazzi. Il Rapporto 2015 sul Profilo dei diplomati conferma anche che le donne, a livello di qualsiasi percorso di studio intrapreso, continuano ad avere performance più brillanti rispetto ai loro colleghi uomini, sia in termini di regolarità negli studi che di voti.
Tra i laureati del 2014, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (60%), la quota delle donne che si laureano in corso è superiore a quanto registrato per i loro colleghi, il 47% contro il 42% degli uomini e il voto medio di laurea, a parità di condizioni, è uguale al 103,1 su 110 per le prime e a 100,8 per i secondi. Non solo. Le donne hanno svolto più tirocini e stage riconosciuti dal proprio corso di laurea, il 60% contro il 52% dei maschi. E questo sebbene le laureate provengano in misura maggiore da contesti famigliari meno favoriti sia dal punto di vista culturale che socio economico. Così, il 25% delle donne ha almeno un genitore laureato contro il 32% dei maschi. Un differenziale che permane considerando anche la classe sociale: il 20% delle donne proviene da una famiglia di estrazione economica elevata contro il 24% dei loro colleghi. Non stupisce quindi che tra le donne, più brave ma provenienti da contesti famigliari più svantaggiati, sia maggiore la percentuale di chi ha usufruito di borse di studio: il 24% contro il 19% dei maschi.
Lo conferma il Rapporto 2015 sulla condizione occupazionale dei laureati che registra ancora una volta significative e persistenti disuguaglianze di genere. Le donne, infatti, ancora oggi fanno più fatica dei loro colleghi a realizzarsi professionalmente a tal punto che per ‘giocare alla pari’ di fatto devono essere più qualificate; in Italia ancora di più di quanto non capiti in tutta Europa. Il Rapporto mostra che tra i laureati magistrali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 7 punti percentuali: lavorano 83 donne e 90 uomini su cento. E a un lustro dal titolo il lavoro stabile diventa una prerogativa tutta maschile: può contare su un posto sicuro, infatti, il 77% degli occupati e il 64% delle occupate. In particolare, ha un contratto a tempo indeterminato il 44,5% delle donne rispetto al 56% degli uomini. È naturale, osserva il Rapporto, che queste differenze siano legate anche alle diverse scelte professionali maturate da uomini e donne; le seconde, infatti, tendono più frequentemente a inserirsi nel pubblico impiego e nel mondo dell’insegnamento, notoriamente in difficoltà nel garantire, almeno nel breve periodo, una rapida stabilizzazione contrattuale. Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo. Tra i laureati magistrali che a cinque anni lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale è pari al 21% a favore dei maschi: 1.597 euro contro 1.316 euro delle colleghe. Se è vero che questo risultato è influenzato dalle diverse scelte professionali compiute da uomini e donne è altrettanto vero che, a parità di ogni altra condizione, gli uomini guadagnano in media 167 euro netti mensili più delle donne. Infine, il titolo è efficace per lavorare più per gli uomini che per le donne: rispettivamente l’88% contro l’82%.
I vantaggi della componente maschile sono confermati a parità di gruppo disciplinare, a tal punto che le donne pagano un pegno maggiore, soprattutto in termini retributivi, anche quando intraprendono i percorsi formativi che hanno un maggior riscontro sul mercato del lavoro, come i percorsi di ingegneria, professioni sanitarie, economico statistico o scientifico. Così, se intraprendono la strada delle professioni sanitarie, dove per uomini e donne i tassi di occupazione e la stabilità sono più o meno simili (per entrambi 97% per occupazione e oltre 94% per stabilità), il guadagno resta sempre nettamente più alto per i maschi: 1.668 euro mensili netti contro i 1.483 delle colleghe. Tra chi opta per ingegneria, sebbene le differenze a livello di occupazione siano meno marcate (lavorano 93 donne su cento e 96 uomini su cento), le donne restano più precarie e percepiscono un guadagno mensile netto di gran lunga inferiore a quello dei loro colleghi. Può contare su un posto sicuro il 76% delle occupate e l’83% degli occupati e su una retribuzione di 1.569 euro contro i 1.759 degli uomini. La situazione non cambia neanche quando scelgono un percorso economico statistico o scientifico: in questo caso, non solo restano elevate le differenze occupazionali (rispettivamente 88% contro il 92% dei maschi; 82% contro il 91%), e contrattuali (il 76% contro l’83,5% sono stabili; 48 contro il 60%), ma anche i guadagni restano sempre inferiori: 1.415 euro contro il 1.602 euro e 1.458 contro il 1.653.
E nei percorsi dove storicamente la presenza femminile è più marcata come nell’insegnamento, in ambito letterario, psicologico e linguistico? Anche in questo caso, il divario tra femmine e maschi resta. Laddove le differenze a livello retributivo calano, come nel letterario e insegnamento (1.174 euro mensili contro 1.263 euro; 1.150 contro i 1.201), le donne restano comunque penalizzate: hanno meno chance occupazionali dei loro colleghi (rispettivamente 74,5% contro il 76%, 79% contro l’89%), e una minore stabilità (42% contro il 53%; 62% contro l’80%). Se puntano alla strada della psicologia, gli uomini non solo sono più occupati (88% contro il 79,5%) ma anche più stabili (73% contro il 65%) e percepiscono guadagni superiori (1.370 euro contro 1.159) delle colleghe. Infine, nel solo indirizzo di studio in cui le donne hanno la meglio dal punto di vista occupazionale rispetto ai loro colleghi, il percorso linguistico (lavora l’85% delle femmine contro l’81% dei maschi), gli uomini possono contare su una maggiore stabilità e guadagni più alti delle loro colleghe (rispettivamente 54% contro 51%; 1.398 euro contro 1.268).