Il rientro di Simone Moro e Tamara Lunger: “sono precipitata e ho pensato di morire, che orgoglio per quest’impresa”

  • Foto Piero Cruciatti / LaPresse
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Ero sicuro che saremmo arrivati in cima, lo sapevo. Non sono mai andato così bene, così forte come quest’anno“. Queste le parole che Simone Moro, appena arrivato all’aeroporto di Milano Malpensa, ha ripetuto abbracciando parenti e amici venuti qui per accoglierlo. Moro è il primo alpinista ad aver scalato 4 Ottomila durante la stagione invernale, un primato assoluto. Inoltre è stato il primo a scalare in inverno il Nanga Parbat, così è entrato di diritto nella storia dell’alpinismo. “Non so da quanto la montagna non riusciva a far parlare di sé. Non è questione di chi, qui è la montagna. Avendo avuto la fortuna, e la sfortuna, di essere venuto dopo tre grandi come Cassin, Bonatti e Messner, riuscire a fare qualcosa che riuscisse ancora ad appagare i palati saturi degli appassionati, era dura. Le scalate invernali sono state una bella idea e una bella sfida per me. Ho fallito tante volte ma questo per me è come quando vinci 4 campionati di fila. Con il Nanga Parbat sono inchiodati al muro i successi. Non ho usato ossigeno, sono andato su a febbraio, non ho usato neppure le solette riscaldate“.

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
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Inverno è vento, perché freddo è un’ovvietà, ma qualche volta ti dà una mano ma stavolta è stata una salita molto ventosa ed è quello che probabilmente ha costretto Tamara quasi in cima a rinunciare” ha aggiunto Simone Moro a Malpensa di ritorno dalla spedizione sul Nanga Parbat. “Campo base è armonia ed è quella che ci ha permesso di arrivare in cima – ha proseguito l’alpinista – Ottomila è la differenza. Ho scalato vari Settemila, sono duri ma umani. Gli Ottomila fanno la differenza e il Nanga Parbat è l’ottomila che fa la differenza. Il Nanga Parbat è un gigante mentre Tamara è sorriso e saggezza. Ha rinunciato per 70 metri a un traguardo epocale solo per non chiederci aiuto in discesa, e non l’ha fatto per orgoglio: lo ha fatto perché eravamo alla frutta pure noi e sapeva che ci avrebbe messi in difficoltà“.

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
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Anche Tamara Lunger è tornata in Italia con Moro: per pochissimo non ha conquistato la vetta insieme a Simone Moro, allo spagnolo Alex Txikon e al pachistano Ali Sadpara, che sono invece arrivati in cima. Ma il Nanga Parbat le ha comunque dato “tanta soddisfazione. E’ stata un’esperienza molto intensa e molto forte, molto più dura del Manaslu l’anno scorso. All’inizio al campo base è già stato molto dura. Da quando abbiamo deciso di partire in 4 per la vetta, con Alex e Ali, tutto si è trasformato in una cosa bellissima, piena di energia e del pensiero del team” ha detto. “Quando sono rientrata, prima della cima, non mi importava” del fatto di non essere arrivata in vetta, ha raccontato ancora l’alpinista, che però ha realizzato la sconfitta “una volta in tenda con gli altri. Ha fatto un po’ male ma questa voce interna l’ho presa come un dono di Dio che spero mi protegga anche i prossimi anni sulle montagne“. “In discesa ero molto stanca e a un certo punto ho preso una storta finendo in un crepaccio e scivolando per circa 200 metri. Pensavo che sarei morta ma mi sono fermata nella neve fresca e quando sono arrivata al campo 4 ero più che contenta. Simone Moro ha fatto una cosa grande – ha aggiunto – sono molto orgogliosa di lui e sono davvero contenta per lui“.

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