Greenpeace: “Una trivella anche nella città di Renzi, il petrolio corrompe l’Italia”

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Oggi un gruppo di attivisti di Greenpeace ha installato una trivella in piazzale Michelangelo a Firenze, simulando le attività di perforazione di un pozzo petrolifero. Per questa singolare protesta Greenpeace ha allestito un finto cantiere, torreggiato da una struttura di perforazione alta 7 metri. A gestire le operazioni un’immaginaria compagnia petrolifera denominata Trivella Italia, che ha recintato l’area con cartelloni pubblicitari: “Trivella Italia S.p.A. Il tuo Paese, il nostro profitto” e “Stiamo trivellando la tua città, ci scusiamo per il disagio, per reclami contattare @matteorenzi“.

Il luogo scelto da Greenpeace per inscenare la protesta chiama direttamente in causa il primo ministro, per anni sindaco di Firenze: l’associazione ambientalista, infatti, giudica l’invito di Renzi all’astensione un oltraggio alla democrazia, oltre che una forma di codardia politica. L’azione di oggi esplicita inoltre il dissenso di Greenpeace verso la strategia fossile dell’esecutivo, evidenziata di recente anche dalle inchieste della magistratura. Il senso della protesta è riassunto da Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace: «A molti sarà parso strano vedere una trivella svettare sul panorama di Firenze. Cosa ci fa uno strumento tanto impattante in un luogo così bello e prezioso? Ecco, questa è la domanda che rivolgiamo agli italiani: perché la semplice simulazione di una trivella in una piazza storica del nostro Paese appare assurda, mentre colossi cento volte più grandi che minacciano i mari non dovrebbero apparire come uno sfregio insopportabile»?

Greenpeace ricorda che le piattaforme oggetto del referendum producono solo il 2-3 per cento del gas consumato ogni anno in Italia, e lo 0,8 per cento del petrolio. Sono 88 impianti: 35 di questi non erogano più nulla, sono fermi; tre su quattro quattro non producono, o producono così poco da non dover versare neppure un centesimo di royalties nelle casse pubbliche. Votando Sì al referendum queste piattaforme non verranno dismesse subito, ma nel giro di circa 10 anni, consentendo di tutelare la pur esigua occupazione legata al loro funzionamento, senza determinare alcun deficit energetico né un aumento delle importazioni di fonti fossili. Il 17 aprile, votare Sì sarà dunque un modo per liberare i tratti di mare più vicini alle coste da questi inutili ferrovecchi; per scegliere un diverso futuro energetico, bocciando la strategia fossile del governo; per ribadire che la politica non deve essere succube delle lobby energetiche.

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