“Avevo la mia bambina, appena nata, in braccio quando ho sentito fastidio al braccio. Avrei scoperto, di lì a poco, che non era dovuto al suo peso, ma al Parkinson“: è quanto racconta Andrea, che aveva 29 anni e oggi ne ha 45. Poi è arrivata la svolta: l’inserimento di una specie di pacemaker nel cervello, che gli ha cambiato la vita. Andrea ha ripreso in pieno la sua professione di maestro di sci, in val Sangone, nel Torinese, cammina e svolge normalmente qualsiasi attività. E’ uno dei 250 casi trattati in 20 anni alle Molinette di Torino, dalle equipe dei professori Michele Lanotte e Leonardo Lopiano.
“Salgo in alta in montagna, vado a funghi, faccio lunghe passeggiate – racconta Andrea -. Certo in alcuni momenti, nel passaggio da una pastiglia all’altra (ne prendo quattro) sento affaticamento, ma i sintomi della malattia sono sotto controllo“. La nuova tecnica terapeutica chiamata “stimolazione cerebrale profonda“, infatti, non cura la malattia, ma ne contrasta i sintomi invalidanti e viene usata anche per altre patologie, come le distonie, il disturbo ossessivo compulsivo, l’epilessia.
“Non guarisce il Parkinson – precisa Lopiano – ma decisamente migliora i sintomi. I pazienti che possono farne uso sono accuratamente selezionati. Non devono avere più di 70 anni e la malattia dev’essere a uno stadio avanzato. Dei 250 interventi la media di netto miglioramento è del 50-60%, il che vuol dire che in alcuni pazienti è dell’80%, in altri molto meno“.
“Sono stato 7-8 ore in sala operatoria – ricorda Andrea – I medici sono stati fantastici. Mi hanno fatto sentire musica e una psicologa, accanto a me, mi faceva chiacchierare. Non ho sentito dolore“. Il neurostimolatore può durare da tre a nove anni, poi viene sostituito.