Il futuro energetico del nostro Paese è pulito: le associazioni si schierano a favore del sì e invitano gli italiani ad andare a votare al quesito referendario del 17 aprile sulle trivelle. Secondo Andrea Boraschi, responsabile campagna clima ed energia di Greenpeace, ”l’idea di trivellare i nostri mari è semplicemente insensata. Non porterà alcuno sviluppo al Paese neppure in termini energetici”. Nei nostri fondali, spiega Boraschi, ”c’è l’equivalente di 7-8 settimane dei consumi nazionali di petrolio e di 6 mesi circa di gas. Per così poco, che non crea occupazione e gettito nelle casse pubbliche, rischiamo di rovinare alcuni dei tesori che abbiamo colpendo anche il turismo e la pesca”. Il governo, commenta Boraschi, ”ha fatto questa strana regalia ai petrolieri concedendogli un fine vita ‘mai’, concessioni che non hanno termine che sono potenzialmente illimitate quando ci sono piattaforme che già oggi producono pochissimo tanto da non pagare le royalties su quello che estraggono. Vecchie carrette molto pericolose”. Da un punto di vista ambientale, infatti, secondo il responsabile clima ed energia di Greenpeace, ”si parla molto dei disastri che potrebbero venire da una strategia di questo genere si parla poco di quello che già succede. Dati del ministero elaborati da Greenpeace ci dicono che 3 volte su 4 le piattaforme che operano nei nostri mari non riescono a rispettare i parametri ambientali assegnati e nonostante ciò nessuno ritira licenze. E’ importante sapere che già oggi c’è qualcosa in atto che merita di essere fermato”. Ma qual è il futuro energetico del nostro Paese? Pulito, nessun dubbio. Una strada che secondo Boraschi, non è solo doverosa ma anche imposta ”dal fatto che non abbiamo mai avuto risorse fossili ingenti e siamo un paese che deve importare gran parte della sua energia. Costruire anche un percorso di indipendenza energetica che possa consentirci di smettere di pagare miliardi e miliardi di euro per importare energie sporche è una delle cose più importanti da fare”. Posizione sposata da Legambiente. Per la presidente nazionale Rossella Muroni, ”proporre concessioni petrolifere e di gas senza limiti di tempo vuol dire non avere, in realtà, un piano energetico pronto rispetto agli impegni presi a Parigi con la Cop21”.
Per rinunciare alle fonti fossili, insomma, serve un piano energetico alternativo ”che per noi vuol dure investire su rinnovabili, efficienza energetica, a partire dall’edilizia, su trasporti collettivi e risparmio energetico. Insomma, su un virtuosismo che da una parte abbatta le emissioni e dall’altra crei nuovi posti di lavoro”. Il 17 aprile Legambiente voterà sì ”per opporci a delle concessioni petrolifere senza limite di tempo e perché vorremmo che questo Paese uscisse definitivamente dall’era dei fossili, dando così seguito agli accordi sottoscritti a Parigi’‘. E sul fronte sicurezza aggiunge: ”la storia è piena di impianti industriali ‘non pericolosi’ che poi, purtroppo, hanno segnato i nostri territori. E c’è tutto un sistema attorno alle piattaforme, a partire dalle petroliere che solcano il nostro mediterraneo, che creano una situazione di inquinamento, pericolo e rischio rispetto all’ecosistema marino”.
Dal Wwf arriva poi un decalogo dedicato ai 10 miti da sfatare di questo referendum. 1. Il quesito è troppo tecnico: È il Governo che ha introdotto una norma nella Legge di Stabilità 2016, approvata dal Parlamento, che chiede di non tenere conto del termine delle concessioni offshore entro la fascia delle 12 miglia vietata alle trivellazioni, ed è la Corte Costituzionale che ha deciso di sottoporre la norma a referendum popolare, perché ha ritenuto che la norma contenga una proroga indefinita e ingiustificata. 2. Il voto è irrilevante. Non è indifferente che si decida di prorogare le concessioni a 88 piattaforme (per il 48% ultra 40enni), perché si rischia di avallare l’interesse delle aziende a non smantellare le piattaforme e procedere al ripristino ambientale dei luoghi. 3. Tutto bene per l’ambiente: il 47,7% delle piattaforme entro la fascia delle 12 miglia sono antecedenti al 1986 e quindi mai sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale. 4. Non c’è alcun rischio di incidente: dal 1955 ad oggi ci sono stati 573 sversamenti di petrolio in tutto il mondo e l’incidente della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon del 2010 ha provocato il più grave inquinamento mai prodotto nei mari Usa. 5. Le attività di estrazione offshore non inquinano: nella fase di ricerca geosismica l’air-gun genera ”esplosioni” che possono provocare danni permanenti ai cetacei o la loro morte; nella fase di estrazione possono generarsi fenomeni di subsidenza (con abbassamento dei fondali e erosione delle spiagge) e vengono usate sostanze pericolose o tossiche contenute nelle ”acque di produzione” e nei ”fanghi perforanti”. 6.Lo Stato ci guadagna: solo 18 delle 69 concessioni off-shore pagano le royalty del 7% sul valore del petrolio e del 10% sul valore del gas estratto in mare. Su 53 aziende estrattive solo 8 sono quelle che pagano le royalty allo Stato e alle Regioni. L’Ires, la tassa sul reddito delle aziende, è al 27,5%, come per ogni altra impresa. 7. Aumenta l’occupazione: in Basilicata, che produce il 70% del petrolio italiano e il 20% del gas, sono solo 1.600 le persone occupate nel settore dell’estrazione degli idrocarburi e 2.400 nell’indotto. 8. La biodiversità prospera: le sostanze inquinanti prodotte a regime, e a maggior ragione in caso di incidente, sono pericolose o tossiche. 9. Le scelte istituzionali sono meditate: dal 1988 che in Italia non viene fatto un Piano Energetico Nazionale. 10. Le fonti fossili sono fondamentali: secondo stime del ministero dello Sviluppo Economico le riserve di petrolio individuate in mare coprirebbero il fabbisogno energetico nazionale per sole 7 settimane e le piattaforme offshore nella fascia offlimits delle 12 miglia producono solo l’1,9% del fabbisogno nazionale di gas.