Nei mari italiani non ci sono cinque piattaforme che estraggono idrocarburi senza autorizzazioni. A precisarlo è il ministero dello Sviluppo economico a “Dire”. “Tutte le piattaforme operanti in Italia– fanno sapere dal Mise- sono censite sul sito del nostro ministero e vigiliate dalle autorita’ suddette“. La vigilanza sostiene che nel 2015 ha visto “oltre 5mila tra ispezioni, controlli e verifiche su tutti gli impianti di ricerca e coltivazione di idrocarburi in Italia“. Ci sono “varie concessioni su terra e mare– prosegue il Mise- che sono scadute” e “per esse e’ stata presentata richiesta di proroga nei termini ed e’ in corso l’istruttoria di proroga“, una pratica “lunga e complessa” che “richiede numerose verifiche tecniche e pareri“. Pero’ “un’apposita legge prevede che durante tale istruttoria prosegua l’attivita’ estrattiva“. Quando una piattaforma sta per chiudere “viene presentato dall’operatore un piano di caratterizzazione e ripristino che, sottoposto a Valutazione di impatto ambientale (Via), e’ accettato dal comitato per la sicurezza e fatto attuare dall’autorita’ di vigilanza“. L’autorizzazione arriva dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, Capitaneria di Porto e Vigili del fuoco. “Da quest’anno sovraintende il Comitato per la sicurezza offshore– precisano da via Veneto- di cui fanno parte, oltre ai suddetti organismi, anche Marina Militare, Ispra e ministero dell’Ambiente“. E’ lo stesso Mise, infine, che vigilia (insieme all’Unmig) sulle attivita’ delle piattaforme, attestandone la reale produttivita’ e i dati prodotti.