La scelta di Whatsapp, in cui è stato dichiarato che tutte le chat e le telefonate possano essere automaticamente criptate “non rappresenta un avanzamento sostanziale della tutela della privacy degli utenti“. A dichiararlo è Luigi Martino, teaching and research assistant in ICT policies e cyber security all’Università di Firenze, in un’intervista con Cyber Affairs. “Le ultime polemiche tra Apple ed Fbi hanno sollevato ancor di più il dibattito sul giusto confine tra privacy e sicurezza. In quest’ottica molti hanno plaudito alla scelta di WhatsApp, ritenendola portatrice di maggior riservatezza. Ma – sottolinea Martino -, il fatto che il servizio di messaggistica offra la crittografia end-to-end a chi utilizza la piattaforma“, rileva, “va visto a mio parere solo come una mossa per proteggere fette di mercato, in un momento in cui altri concorrenti offrono la medesima possibilità“.
È vero, aggiunge l’esperto, che “da adesso in poi, se si invia un messaggio attraverso la piattaforma controllata dal social network Facebook, l’unica persona che può leggerlo è quella che lo riceve“. Tuttavia, rimarca Martino, “ciò non significa che il contenuto del messaggio non resti a disposizione di WhatsApp, che detiene e controlla i server dove questi dati sono immagazzinati. Non vale ovviamente solo per questo sistema di messaggistica, ma per la quasi totalità di essi. Ed è questo che bisognerebbe chiedersi, in una vera ottica di tutela della privacy: chi sono, oggi, i proprietari delle conversazioni e dei dati che si muovono attraverso la Rete? Noi o chi eroga i servizi?“.