“E’ completamente sbagliato il messaggio che la gravidanza si decide e si ottiene quando si vuole. Eppure viene veicolato spesso. I casi di donne di 48-50 anni che diventano madri vengono riportati con esaltazione, e a volte sui media si sentono parlare medici che di infertilità non sanno granché, ma magari fanno audience. La verità è che se dopo 12 mesi di rapporti sessuali non protetti non arriva un bebè (dopo 6 mesi nel caso si abbiano oltre 38 anni), ci si deve rivolgere a uno specialista di medicina della riproduzione“. Così Filippo Ubaldi, ginecologo e direttore clinico del Centro Genera della clinica Valle Giulia di Roma, ha commentato i dati Censis secondo cui aumenta l’età media delle coppie che si rivolgono alla procreazione medicalmente assistita (Pma).
Il rapporto presentato oggi a Roma evidenzia che l’uomo ha in media oggi 39,8 anni (dai 37,7 anni del 2008) e la donna 36,7 anni (da 35,3), e questo si riscontra nella realtà odierna dei centri specializzati: “Oggi nei nostri centri l’85% dei pazienti ha più di 35 anni – assicura Ubaldi – ma sono moltissime le coppie con più di 40 anni. Dobbiamo spiegare loro che, ad esempio, a 43 anni la donna per ottenere un embrione sano da impiantare ha bisogno di produrre 30 ovociti, quando in un ciclo di stimolazione se ne possono ottenere 3-4. Anche con le tecnologie più avanzate non si può invertire questa tendenza: la possibilità di concepire a quell’età è aneddotica“. A parere dell’esperto “andrebbero avviate iniziative di informazione e formazione a livello di scuole, per far capire che la gravidanza non si può procrastinare più di tanto. Il ministero della Salute ha riunito una commissione e redatto un documento che andrebbe veicolato a vari livelli per trasmettere il messaggio che i figli vanno fatti prima possibile. Dovremmo puntare tutto su questo, con politiche economiche e sociali“.
Per quanto riguarda la scelta del centro di Pma, il Censis evidenzia che la maggioranza delle coppie lo seleziona sulla base della ‘fama’ e del passaparola. Ma “bisognerebbe andare a verificare, ad esempio – consiglia Ubaldi – quanti embriologi sono presenti nello staff: se la struttura esegue più di 1.000 cicli l’anno ce ne dovrebbero essere almeno 10: anche con tecnologie all’avanguardia e ottenendo embrioni di buona qualità, senza l’adeguata professionalità si possono indurre danni gravi, per cui questi non si impianteranno mai“. Infine, secondo l’esperto “anche in Italia sarebbe necessaria un’autorità indipendente come la Human Fertilisation and Embryology Authority britannica, che possa interagire col governo sulle leggi da varare e per controllare quello che fanno i centri di Pma“. “Quello delle coppie che aspettano troppo prima di rivolgersi a uno specialista – aggiunge Andrea Lenzi, ordinario di Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma – è un dato devastante. Dobbiamo insegnare nelle scuole che la fertilità è un bene comune, sociale, e il calo di natalità è peggiore di molte malattie che sono in grado di sterminare un’intera società. Forse la Pma costa troppo, ma se si fanno mutui e si comprano auto si vede che il problema non è poi così sentito dagli italiani“.