Gli effetti del “global warming” sulla circolazione generale atmosferica ormai sono sotto gli occhi di tutti. Ma riuscire a comprendere e interpretare i cambiamenti di tali dinamiche diventa ancora oggi è abbastanza complesso. Al momento l’unica cosa certa è che i vecchi schemi climatici più volte osservati nel passato stiano iniziando a saltare. Il crescente riscaldamento del mar Glaciale Artico sta contribuendo a rendere le configurazioni bariche e gli schemi sinottici sempre più persistenti sulle medie latitudini, con determinati schemi barici che possono persistere per settimane o interi mesi. Questa persistenza può dare luogo a pesanti ondate di caldo, intense avvezioni fredde, siccità o situazioni meteorologiche estreme, come eventi alluvionali e prolungati periodi di maltempo, che possono rimanere persistenti per più giorni, settimane o addirittura mesi.
Perdendo buona parte della sua forma il “getto polare”, per una nota legge fisica, comincia ad ondularsi su sé stesso, creando delle grandi onde su scala planetaria, meglio note come le “onde di Rossby”. Queste “onde di Rossby”, lunghe da 1.000 a 10.000 km, si formano con una precisa successione di tempi e tendono a muoversi da ovest verso est, con una velocità di propagazione che è direttamente proporzionale alla loro lunghezza e alla velocità media di spostamento delle correnti nell’alta troposfera.
Nel periodo primaverile ed estivo, quando inizia l’arretramento dei ghiacci marini della banchisa del Polo Nord e il vortice polare (caratterizzato da geopotenziali bassi alla quota di 500 hpa) si indebolisce, restringendosi su una determinata area del mar Glaciale Artico, le “onde di Rossby” tendono a rallentare la loro velocità di propagazione da ovest ad est, originando dei pattern climatici abbastanza durevoli che determinano una maggiore probabilità di eventi meteorologici estremi che derivano da condizioni prolungate, come siccità, inondazioni, ondate di freddo o di caldo.
La neve, depositando i primi soffici accumuli sopra le immense lande della Siberia e dell’Artico canadese, permette un più rapido raffreddamento di queste, a causa dell’attivazione dell’effetto “Albedo” che tende a rafforzarsi man mano che si avvicina l’ultima decade di Ottobre e il mese di Novembre, quando l’insolazione si indebolisce portandosi ai minimi stagionali (mentre oltre il Circolo polare cala la grande oscurità invernale).
L’isolamento di masse d’aria sempre più fredde, nei bassi strati (in genere è lo strato d’aria in prossimità del suolo innevato ad esserne interessato), sopra le estese aree continentali dell’emisfero boreale, ha come prima ripercussione un brusco arretramento del “getto polare” verso latitudini più meridionali, con un conseguente indebolimento di quest’ultimo, per il venir meno del “gradiente di geopotenziale” fra l’Artico e le medie latitudini.
Al contempo, il rapido raffreddamento delle lande della Siberia e del Canada costruisce ad incrementare la formazione di importanti nuclei anticiclonici, alle medio-alte latitudini, che aumentano le probabilità di ondate di freddo in grado di causare lunghi periodi di tempo insolitamente freddo e nevoso alle medie latitudini, fra America settentrionale, Europa e Asia centro-settentrionale. Spesso tale brusco raffreddamento anticipato delle terre emerse dell’emisfero boreale può stravolgere la normale circolazione atmosferica dominante alle medie latitudini, innescando estese circolazioni “antizonali” (ventilazione orientale nei medi e bassi strati), favorevoli a considerevoli ondate di freddo dirette verso il vecchio continente o sui territori dell’Asia centrale e del nord America.