“Sono alla ricerca di un altro pianeta nell’Universo dove esista la vita. Non posso vederlo a occhio nudo, né con il più potente dei telescopi; ma so che è lì da qualche parte”: con queste parole Aomawa Shields, astronoma dell’Università della California, lo scorso anno ha iniziato un TED talk che in pochi mesi ha fatto il giro del web con oltre un milione di visualizzazioni. Il suo lavoro consiste appunto nell’andare a caccia di esopianeti potenzialmente abitabili, e lo fa costruendo modelli informatici basati soprattutto sul clima e l’atmosfera dei pianeti al di fuori del Sistema solare che potrebbero ospitare la vita. Fonte primaria d’informazione è ovviamente l’insieme di dati raccolti dal telescopio spaziale Kepler della NASA, partito nel 2009 a caccia di un’altra Terra e che giusto poche settimane fa ha individuato oltre un migliaio di nuovi pianeti. Il materiale non manca, quindi, e come molti altri scienziati Shields lo utilizza per provare a rispondere alla regina delle domande dell’astronomia: siamo o non siamo soli nell’Universo?
Il principale “ingrediente” analizzato dalla ricercatrice è un elemento che conosciamo bene anche sulla Terra, l’anidride carbonica. Da noi la CO2 costituisce circa lo 0.04% dell’atmosfera; ma poiché Kepler-62f è decisamente più lontano dalla sua stella di quanto la Terra lo sia dal Sole, avrebbe bisogno di molta più anidride carbonica per mantenere l’acqua liquida sulla sua superficie. In base al modello di Shields e colleghi, questa quantità ammonta a circa 2.500 volte diossido di carbonio in più rispetto all’atmosfera terrestre. In pratica, l’atmosfera di Kepler-62f dovrebbe essere composta quasi esclusivamente da CO2. Secondo i ricercatori, uno scenario del tutto realistico: la lontananza dell’esopianeta dalla sua stella permetterebbe infatti al gas di raggiungere la temperatura giusta per formarsi in abbondanza nell’atmosfera di Kepler-62f. Siamo ancora nel reame dell’ipotetico, ma i modelli simulativi sono lo strumento più raffinato che abbiamo laddove mancano ancora le osservazioni dirette. “Ci aiutano a capire la probabilità di alcuni pianeti di essere abitabili – commenta Shields – rispetto a un determinato numero di fattori, per i quali non abbiamo dati diretti dai telescopi. In questo modo stiamo costruendo una lista prioritaria di pianeti da tenere d’occhio, in attesa di una nuova generazione di telescopi che sarà in grado di cercare le impronte atmosferiche della vita su altri mondi”.