Ogni giorno gli italiani mangiano in media 10 g di sale, intendendo come sale il cloruro di sodio. I valori raccomandati dall’Unione europea variano invece fra 1,5 e 8,8 grammi.
A tutti piacciono i cibi saporiti per una questione di abitudine, perché dalla preistoria a tempi recentissimi uno dei principali metodi di conservazione della carne e del pesce, in assenza di frigoriferi, era proprio l’uso del sale.
Nell’antica Roma il sale era un bene prezioso ed i soldati erano pagati con questa sostanza, da cui il termine “salario“, usato ancora oggi, non solo in Italia. Perfino una delle vie consolari che partivano dal centro di Roma si chiamava e si chiama Salaria perché portava il sale del Tirreno verso l’interno della Penisola.
Nel 1540 ci fu addirittura una “Guerra del sale” fra Perugia ed il papa Paolo III. Perugia era infatti sottomessa allo Stato pontificio che aveva il monopolio della vendita del sale in tutti i suoi territori. La popolazione perugina si sollevò in armi contro l’aumento di questa tassa, tumulti ci furono anche in altri territori di questo Stato come Ravenna, Bologna e nell’agro romano.
Il Regno d’Italia appena costituito, nel 1862, mise l’imposta sul consumo del sale che era uno dei monopoli di Stato, questa imposta rimase rimase in vigore fino al 1974.
Il nostro gusto si può però lentamente modificare diminuendo la quantità di sale negli alimenti in maniera graduale. Si può evitare così una serie di disturbi come la “pressione alta” (o ipertensione). I cibi possono essere resi più saporiti con l’aggiunta di aromi, spezie, limone o aceto. Soprattutto nella prima infanzia al momento dello svezzamento bisogna evitare di aggiungere sale alle pappe per evitare un radicarsi del gusto per il salato.