È la terza neoplasia maligna nella popolazione generale, la più frequente dei maschi adulti per i quali, dopo i 50 anni di età, rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati. Sono almeno 398.000 gli uomini che convivono con una pregressa diagnosi di carcinoma prostatico che, malgrado i progressi terapeutici, in una elevata percentuale di casi evolve in una forma resistente alla terapia anti-androgenica (CRPC) e metastatizza (mCRPC). Adesso per i pazienti con cancro della prostata metastatico resistente alla terapia ormonale e non sottoposti a chemioterapia, l’AIFA autorizza l’indicazione pre-chemioterapia di enzalutamide, già utilizzato dopo fallimento del trattamento chemioterapico.
Enzalutamide è un agente ormonale orale di ultima generazione dotato di un meccanismo di azione innovativo in quanto inibisce in maniera potente il recettore degli androgeni, il testosterone, che è il “motore” di crescita del tumore prostatico, bloccando i diversi passaggi della cascata di signalling del recettore.
«Il tumore della prostata per anni e anni non ha avuto a disposizione farmaci efficaci, ad eccezione degli analoghi agonisti dell’LHRH che tuttora rappresentano la terapia standard della malattia metastatica o delle recidive dopo il trattamento con chirurgia e radioterapia. Per i pazienti non responsivi alla terapia ormonale si disponeva solo della chemioterapia con docetaxel – afferma Sergio Bracarda, Direttore U.O.C. di Oncologia Medica”, Azienda USL Toscana Sud-Est, Istituto Toscano Tumori (ITT), Ospedale “San Donato” Arezzo – in anni recenti lo scenario è cambiato grazie all’arrivo sul mercato di farmaci innovativi ed efficaci, come ad esempio enzalutamide. Si tratta di un farmaco capace di bloccare in maniera potente e duratura il recettore degli androgeni, che è una molecola chiave nel processo di crescita e metastatizzazione della cellula tumorale prostatica. Per questo enzalutamide rappresenta un importante strumento per il miglioramento della strategia terapeutica del carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione. Oltre all’efficacia, cioè ad un miglioramento della sopravvivenza, enzalutamide è caratterizzato anche da un buon profilo di tollerabilità».
Il tumore della prostata è una patologia maligna dell’età avanzata, essendo la fascia più colpita quella degli over 70, sebbene oggi si riscontri un suo aumento nelle fasce d’età più giovani tra i 55 e i 65 anni. Ogni anno in Italia si registrano circa 35.000 nuovi casi e i decessi sono attorno agli 8.000. Più del 40% degli uomini colpiti da un tumore della prostata sviluppa metastasi e molti di questi diventano resistenti al trattamento di deprivazione ormonale (castrazione). Tuttavia per il trattamento di queste forme metastatiche resistenti agli analoghi LHRH e che non necessitano ancora di chemioterapia si aprono nuove prospettive terapeutiche non solo chemioterapiche e che sono in grado di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
«Il trattamento del carcinoma prostatico comprende diverse opzioni che vanno dalla chirurgia alla radioterapia, dall’ormonoterapia alle terapie sistemiche con chemioterapici – dichiara Giario Conti, Primario di Urologia all’Ospedale Sant’Anna di Como e Segretario Generale della Società Italiana di Urologia Oncologica – la scelta della terapia dipende dalle caratteristiche del paziente e della malattia. Tutti i trattamenti hanno subito nell’ultimo decennio un’evoluzione importante, contribuendo a ridurre la mortalità per questo tipo di neoplasia e a migliorare la qualità della vita. Quanto ai trattamenti farmacologici disponibili, il più recente ad essere registrato in fase pre-chemioterapia (oltre che post-chemioterapia) è enzalutamide, che è risultato efficace sia nei pazienti con metastasi ossee che viscerali, prolungando la sopravvivenza e riducendo gli eventi scheletrici».
La terapia ormonale è uno dei cardini del trattamento farmacologico del carcinoma prostatico perché punta a ridurre gli androgeni, in particolare il testosterone che ha un ruolo importante nella crescita e nell’evoluzione di questo tumore. Enzalutamide rappresenta un grande progresso nel trattamento dei pazienti con tumore della prostata metastatico resistente alla terapia ormonale e non ancora sottoposti a chemioterapia; legandosi in maniera potente e prolungata al recettore degli androgeni, ripristina il controllo della cellula maligna prostatica e ne può indurre la morte.
«Gli studi AFFIRM, condotto su pazienti con tumore prostatico metastatico resistente alla castrazione già trattati con chemioterapia, e PREVAIL, condotto su pazienti con tumore prostatico metastatico naive alla chemioterapia, hanno dimostrato un miglioramento della sopravvivenza globale, un buon profilo di sicurezza e tollerabilità con effetti collaterali scarsi e di poca importanza rispetto ai pazienti trattati con placebo, permettendo un miglioramento della qualità di vita dei pazienti – spiega Giacomo Cartenì, Direttore UOC di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Antonio Cardarelli” di Napoli – enzalutamide ha anche ridotto il rischio di fratture e compressioni del midollo spinale nei pazienti con metastasi ossee. Questo farmaco, inoltre, non necessita dell’aggiunta di cortisone. L’insieme delle evidenze ne fanno un farmaco orale estremamente maneggevole e sicuro».
Lo studio multicentrico di fase III PREVAIL, che ha arruolato pazienti non sottoposti a chemioterapia, ha dimostrato che enzalutamide riduce la crescita delle cellule neoplastiche e provoca la regressione del tumore; induce un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza globale a confronto del trattamento con placebo (OS: 35,3 mesi vs 31,3) e una riduzione del 29,4% del rischio di decesso; offre inoltre un beneficio in termini di sopravvivenza libera da progressione radiografica anche nei pazienti con metastasi viscerali.
Enzalutamide, tra le terapie disponibili per il tumore prostatico metastatico resistente alla castrazione pre-chemioterapia, ha dimostrato efficacia e un buon profilo di sicurezza anche nei pazienti in cui la malattia è progredita dal trattamento con solo LHRHa, oltre a presentare un vantaggio significativo rispetto agli anti-androgeni di prima generazione. Il farmaco è prescrivibile anche ai pazienti che non sono stati sottoposti a blocco androgenico totale.
«Il lavoro di squadra e la collaborazione tra le diverse figure specialistiche sono fondamentali, perché permettono ai clinici di scegliere la terapia più idonea per il singolo caso. Per esempio, l’oncologo medico e l’urologo sono esperti nei loro rispettivi settori, ma non in quello della radioterapia o dell’anatomia patologica, discipline per le quali esistono specialisti dedicati. Siamo complementari – sottolinea Barbara Jereczek, Professore associato di Radioterapia all’Università degli Studi di Milano e Direttore della Divisione di Radioterapia all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano – alcuni studi dimostrano che il lavoro multidisciplinare e la collaborazione tra le varie figure specialistiche migliorano del 10% i risultati clinici in oncologia. Anche in Italia, come in molti Paesi questa esigenza è stata recepita. Da qui nasce la volontà di creare delle Prostate Cancer Unit simili a quelle già esistenti per il tumore della mammella».
La nuova opportunità terapeutica per il trattamento del tumore prostatico è frutto della ricerca di Astellas Pharma, una delle prime 20 aziende farmaceutiche a livello mondiale, che ha lanciato con successo altri prodotti innovativi in aree terapeutiche importanti quali l’Urologia, i Trapianti, gli Antinfettivi e la Terapia del Dolore e che ultimamente, con enzalutamide, estende anche all’Oncologia il suo impegno orientato a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Enzalutamide, nuova opzione terapeutica in prima linea: efficace nel prolungare la sopravvivenza e ridurre il rischio di fratture.
Che importanza hanno l’approccio multidisciplinare e la collaborazione tra urologo, oncologo e radioterapista sia nella fase che precede la diagnosi sia nel successivo percorso di cura? Che cosa si sta facendo per rafforzare questo tipo di approccio?
“Lavorare in team, includendo tutte le figure specialistiche necessarie per la valutazione e il trattamento più idoneo per un tumore della prostata, oggi è un’esigenza non più rimandabile. L’approccio multidisciplinare dovrebbe essere la regola, non l’eccezione, dal momento che lo scenario dei trattamenti si è arricchito di possibilità terapeutiche in tutte le fasi di malattia; le scelte sono diventate più complesse che in passato e richiedono diverse competenze. Solo un team di esperti, che includa l’urologo, l’oncologo medico e l’oncologo radioterapista, ma anche altre figure come il patologo, il radiologo, il medico nucleare, il riabilitatore, lo psicologo etc., in stretta e organica relazione tra loro, è in grado di curare al meglio il tumore, ma anche il corollario di complicanze che possono essere indotte dalle terapie stesse. Il problema è che questa realtà non è tale ovunque: in Italia siamo ancora molto indietro rispetto a Paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti e Canada, ormai attrezzati in tal senso. Anche nel nostro Paese però il percorso è stato avviato, da qualche tempo è partito il progetto TMD, al quale stanno lavorando sette Società scientifiche nel settore dell’oncologia, della radioterapia e dell’urologia, che dovrebbe favorire e regolamentare la nascita dei team multidisciplinari e, in seguito, delle Unità di patologia come le Prostate Cancer Unit, che attualmente sono solo 5 o 6 sul territorio nazionale, sebbene almeno 22 Centri, aderenti al progetto PERSTEP di SIUrO e CIPOMO, abbiano iniziato a lavorare secondo il concetto della multidisciplinarietà, come accade da anni per il tumore della mammella. La creazione di Prostate Cancer Unit migliorerà l’aderenza alle linee guida e l’appropriatezza dei protocolli diagnostici e terapeutici,” spiega Giario Conti, Primario di Urologia, Ospedale Sant’Anna, Como, Segretario Generale SIUrO – Società Italiana di Urologia Oncologica.
Quali sono le strategie terapeutiche disponibili farmacologiche e non, per il trattamento del tumore della prostata? Come si sono evolute in questi anni? Quali progressi sono stati ottenuti?
“Il trattamento del carcinoma prostatico comprende diverse opzioni che vanno dalla chirurgia alla radioterapia, dall’ormonoterapia alle terapie sistemiche con farmaci di vario genere. La scelta della terapia dipende dalle caratteristiche del paziente e della malattia. Tutti i trattamenti hanno subito nell’ultimo decennio un’evoluzione importante, contribuendo a ridurre la mortalità per questo tipo di neoplasia e un miglioramento della qualità della vita. Per i trattamenti farmacologici disponibili distinguiamo a seconda della fase della malattia: i pazienti metastatici all’esordio (meno del 10%), trattati inizialmente con terapia ormonale; così come i pazienti che progrediscono dopo un trattamento locale e diventano metastatici nel corso della loro storia. Per i pazienti che vanno in progressione in corso di terapia ormonale di prima linea, i cosiddetti “resistenti” alla castrazione, esiste oggi un ampio ventaglio di opzioni terapeutiche: farmaci chemioterapici, un radiofarmaco e farmaci ormonali di nuova generazione. Tutti si sono dimostrati capaci di aumentare la sopravvivenza e di migliorare la qualità di vita, per esempio riducendo l’incidenza di eventi scheletrici come le fratture patologiche. Il più recente ad essere stato registrato in fase pre-chemioterapia (oltre che post-chemioterapia), è enzalutamide, che è risultato efficace sia nei pazienti con metastasi ossee sia nei pazienti con metastasi viscerali, prolungando il controllo di malattia e la sopravvivenza e riducendo il rischio di eventi scheletrici. In pochi anni, a partire dal 2004, siamo passati dal non avere alcun farmaco capace di migliorare la sopravvivenza nei pazienti resistenti alla castrazione, alla disponibilità di diverse opzioni farmacologiche efficaci.“
Come cambia l’approccio terapeutico in funzione dello stadio del tumore prostatico? Che risultati offrono le varie opzioni terapeutiche?
“Lo stadio del tumore è fondamentale per la scelta della terapia. Per i pazienti a rischio basso, con malattia clinicamente localizzata, il trattamento può essere solo locale: chirurgia, radioterapia, brachiterapia, terapia focale. Vi è anche una quota di pazienti con tumore cosiddetto “indolente” che possono essere inseriti all’interno di programmi di sorveglianza attiva che prevedono una attenta osservazione nel tempo con controlli periodici; questi soggetti diventano candidabili alla chirurgia o alla radioterapia solo se la malattia progredisce. Man mano che il rischio aumenta il trattamento diventa più “importante”, multimodale con la combinazione di due o più trattamenti (per esempio chirurgia e radioterapia o radioterapia e ormonoterapia). Se la malattia è metastatica si ricorre invece ai trattamenti sistemici. Nei pazienti con caratteristiche istologiche del tumore sfavorevoli può essere necessario dopo la chirurgia utilizzare terapie adiuvanti, quali la terapia ormonale o la radioterapia. Bisogna dire che in poco più di 10 anni nel paziente metastatico e resistente alla castrazione, si è passati da un’aspettativa media di sopravvivenza di 9 mesi a più di 35 mesi. Questo si può ottenere utilizzando al meglio i trattamenti disponibili e all’interno di un team multidisciplinare.“
Come verrà utilizzata questa nuova opzione terapeutica e quali pazienti ne potranno beneficiare?
“Enzalutamide può essere indicato come prima linea di trattamento pre-chemioterapia nei pazienti metastatici resistenti alla castrazione e con entrambi i tipi di metastasi, ossee e viscerali. In più, il farmaco può essere utilizzato nei pazienti con le medesime caratteristiche ma che hanno fallito la chemioterapia; in questi casi diventa un trattamento di seconda linea.“
Tumore della prostata, 35.000 nuovi casi l’anno in Italia. Grandi passi avanti nelle terapie, ma rimangono bisogni clinici insoddisfatti
In Europa il tumore della prostata è la neoplasia più diffusa nella popolazione maschile dopo i tumori cutanei. Quali sono l’incidenza e i principali fattori di rischio? Quali sono le caratteristiche di questo tumore e come si manifesta?
“L’incidenza di questa neoplasia è sicuramente elevata, sia per numero reale dei casi che a causa di uno “screening opportunistico” con il PSA che porta a diagnosticare forme anche non aggressive di malattia, senza necessariamente avere un impatto sulla mortalità. Il tumore della prostata è, infatti,una patologia dalla prognosi molto variegata.
Ogni anno si registrano in Italia circa 35.000 nuovi casi e i decessi sono attorno agli 8.000 casi, numeri in crescita, almeno fino al 2003, a motivo di una diagnosi precoce legata al PSA. La fascia d’età più a rischio è quella sopra i 60-65 anni, essendo questa una neoplasia caratteristica dell’età matura o avanzata. Le cause non sono del tutto note: è una patologia ormono-dipendente, e questo va considerato; fattori di rischio sono considerati, oltre all’età, la familiarità, lo stile di vita, una dieta troppo ricca di grassi, l’obesità. Non è chiarissimo il rapporto con il fumo che viene considerato una concausa. Come già detto, la principale caratteristica di questo tumore è la sua presenza elevata in soggetti anziani, come risulta da studi autoptici condotti su persone con più di 80 anni. La patologia, inoltre, non si manifesta con segni o sintomi specifici (la difficoltà ad urinare, la fatica ad emettere il getto sono tipici segni di una prostata ingrossata che spesso coesiste con il tumore), se non in fase avanzata, quando può manifestarsi con difficoltà a urinare e presenza di sangue nelle urine. Un importante campanello d’allarme, anche se tardivo e non molto frequente, è la comparsa di dolori, fissi e/o ingravescenti, specie a livello osseo, che non siano legati ad altra causa specifica,” spiega Sergio Bracarda, Direttore U.O.C. di Oncologia Medica, Azienda USL Toscana Sud-Est, Istituto Toscano Tumori (ITT), Ospedale San Donato, Arezzo.
Quali sono a tutt’oggi gli unmet needs nel trattamento del tumore della prostata? In cosa consiste la terapia ormonale e quando viene utilizzata?
“Negli ultimi anni abbiamo assistito a numerosi progressi nell’ambito delle terapie per il tumore prostatico, nonostante questi avanzamenti terapeutici permangono alcuni bisogni clinici insoddisfatti. Il primo di questi è di ordine metodologico e organizzativo, oggi si considera ottimale la valutazione del caso quando affrontato da un team multidisciplinare, il cui nucleo base sia costituito da urologo, oncologo medico e oncologo radioterapista. Questo approccio consente di effettuare le scelte migliori e di programmare il percorso terapeutico migliore e la presa in carico del paziente per tutta la sua durata. Questo tipo di approccio, che rappresenta la migliore garanzia di qualità della scelta terapeutica e dell’intero percorso assistenziale, non è ancora presente su tutto il territorio nazionale, anche se sempre più centri se ne stanno dotando (Prostate Cancer Units). C’è inoltre bisogno di fare più chiarezza e di capire i rischi e i benefici derivanti dall’uso del PSA ai fini di una diagnosi precoce, mentre la ricerca di base deve fare ancora molto sulla conoscenza dei fattori causali della malattia sull’individuazione di biomarcatori che possano facilitare sia la diagnosi che la scelta delle migliori cure possibili per il trattamento del tumore prostatico. Come accade per il tumore mammario, sarebbe necessario avere a disposizione tests genetici in grado di identificare il paziente più adatto a terapie più aggressive e quello da trattare in maniera più conservativa. Riguardo alla terapia ormonale essa è uno dei pilastri del trattamento farmacologico del tumore prostatico. Rappresenta la terapia di prima scelta nei casi di malattia avanzata e a rischio di recidiva. Noi la chiamiamo terapia ormonale, ma in realtà è una terapia anti-ormonale in quanto induce una deprivazione degli ormoni. Ci sono tre tipi di approccio alla deprivazione androgenica: l’orchiectomia bilaterale (rimozione chirurgica dei testicoli, oramai quasi in disuso), gli analoghi e gli antagonisti dell’LH-RH che agiscono inibendo l’asse ipotalamo-ipofisario, e i farmaci anti-androgeni periferici.“
Anche in Italia è disponibile una nuova opzione terapeutica per il trattamento del tumore della prostata nei pazienti non precedentemente trattati con chemioterapia: enzalutamide, farmaco orale, inibitore del segnale del recettore androgenico. Che importanza ha questa innovazione nel trattamento di questo tumore?
“Il tumore della prostata per anni non ha avuto a disposizione farmaci efficaci, ad eccezione degli analoghi agonisti dell’LH-RH che tuttora rappresentano la terapia ormonale standard della malattia metastatica e delle recidive dopo trattamento con chirurgia e radioterapia. Per i pazienti non più responsivi alla terapia ormonale convenzionale si disponeva fino a pochi anni fa della sola chemioterapia con docetaxel. In anni recenti lo scenario è cambiato grazie all’arrivo sul mercato di farmaci innovativi ed efficaci, come ad esempio enzalutamide. Si tratta di un farmaco capace di bloccare in maniera potente e duratura il recettore degli androgeni, che è una molecola chiave nel processo di crescita e metastatizzazione della cellula tumorale prostatica. Il recettore degli androgeni è parte in causa anche nei processi attraverso i quali il tumore diventa resistente alla terapia ormonale. Per questo enzalutamide rappresenta un importante strumento per il miglioramento della strategia terapeutica del carcinoma prostatico metastatico cosidetto “resistente alla castrazione (medica o chirurgica). Oltre all’efficacia, cioè ad un miglioramento della sopravvivenza, enzalutamide è caratterizzato anche da un un buon profilo di tollerabilità. In presenza di comorbidità importanti, questo farmaco allarga quindi le possibilità di personalizzare le scelte terapeutiche.“
Qual è il meccanismo d’azione di enzalutamide? Quali sono i risultati in termini di efficacia, secondo le evidenze degli studi clinici?
“Enzalutamide agisce con un meccanismo molto interessante. Come accennavo sopra, il recettore degli androgeni è considerato il motore della cellula tumorale prostatica. In primis si ha un legame di questa molecola con il testosterone (ligando), il complesso testosterone-recettore migra quindi nel nucleo della cellula, si lega al DNA e ne induce attività responsabili della crescita tumorale. Enzalutamide agisce bloccando il recettore non solo perifericamente ma anche a livello del nucleo attraverso tre livelli di azione: inibisce il legame testosterone-recettore, inibisce la traslocazione del segnale dal citoplasma all’interno del nucleo, inibisce, infine, la stimolazione del DNA. Enzalutamide ha dimostrato la sua efficacia, rispetto a placebo, in un ampio studio effettuato su pazienti non ancora sottoposti a chemioterapia con docetaxel (lo studio PREVAIL), che ha raggiunto tutti gli obiettivi previsti: migliore sopravvivenza globale, migliore sopravvivenza libera da progressione radiografica, significativa riduzione del rischio di sviluppare eventi scheletrici, buona tollerabilità, riduzione del PSA e del volume di malattia, ritardo del tempo all’effettuazione di una successiva chemioterapia o di altri eventuali trattamenti successivi.“
Il ritardo della diagnosi, un fattore da non sottovalutare. I trattamenti disponibili per il tumore della prostata aggressivo o metastatico
Uno dei problemi del tumore della prostata è il ritardo della diagnosi, che in circa il 10-20% dei casi arriva nella fase già avanzata: quali sono i fattori che ostacolano un riconoscimento tempestivo della malattia?
“Diversi sono i motivi che possono contribuire ad una diagnosi tardiva del tumore prostatico. Il principale è rappresentato dalla natura stessa della neoplasia, infatti questo carcinoma si sviluppa e cresce nella parte più periferica della ghiandola prostatica, il cosiddetto mantello e non dà segni della sua presenza se non dopo che è cresciuto ed ha infiltrato la capsula. Un altro fattore responsabile di una diagnosi tardiva è l’utilizzo del test del PSA che produce un certo numero di sovradiagnosi intercettando forme tumorali che non evolverebbero mai verso il cancro maligno, senza contare che molti tumori della prostata non producono PSA, quindi un valore basso non sempre è sinonimo di negatività. Bisogna poi sottolineare una certa carenza di indagini diagnostiche per le quali si dovrebbe attivare la ricerca,” spiega Giacomo Cartenì Direttore UOC di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Antonio Cardarelli”, Napoli.
Quali sono generalmente l’evoluzione e la prognosi della patologia? Cosa s’intende per “forma metastatica resistente alla castrazione”?
“Il tumore della prostata quando è lasciato a se stesso cresce e metastatizza portando a morte. La malattia diagnosticata precocemente e trattata in modo integrato ha tendenzialmente una prognosi buona nella maggior parte dei casi. Tuttavia abbiamo un 20% dei pazienti nei quali il tumore evolve rapidamente e a questi soggetti si riserva un approccio diverso. La malattia può progredire nonostante venga trattato con la terapia ormonale di prima linea, in questa fase il tumore diventa metastatico e, dopo un periodo variabile, il paziente può diventare resistente alla castrazione, vale a dire alla deprivazione del testosterone, questa si definisce “forma metastatica resistente alla castrazione (mCRCP)”. La ragione per cui questo accade sta nel fatto che il tumore comincia ad autoprodurre il suo testosterone, che è un fattore di crescita, all’interno delle cellule maligne, trovando il nutrimento per crescere. I nuovi farmaci agiscono proprio dentro le cellule tumorali, bloccando il fattore di crescita.“
Quali sono le strategie adottate in presenza di malattia aggressiva o non localizzata?
“Quando i pazienti presentano un tumore prostatico aggressivo o in metastasi al momento della diagnosi, andrebbero per prima cosa gestiti da un’équipe multidisciplinare che coinvolga l’urologo, l’oncologo e il radioterapista. I trattamenti disponibili e utilizzati in questi casi comprendono la terapia ormonale, i nuovi farmaci anti-androgeni, come enzalutamide, e la chemioterapia.“
Uno degli aspetti sempre più considerati in oncologia riguardo le nuove terapie è l’impatto sulla qualità della vita: da questo punto di vista come si caratterizza enzalutamide? Qual è il profilo di questo farmaco in termini di sicurezza, tollerabilità e maneggevolezza?
“Gli studi AFFIRM, condotto su pazienti con tumore prostatico metastatico resistente alla castrazione già trattati con chemioterapia, e PREVAIL, condotto su pazienti con carcinoma prostatico metastatico naive alla chemioterapia, hanno dimostrato un miglioramento della sopravvivenza globale, un buon profilo di sicurezza e tollerabilità con effetti collaterali scarsi e di poca importanza rispetto ai pazienti trattati con placebo, permettendo un miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Enzalutamide ha ridotto il rischio di fratture e compressioni del midollo spinale, nei pazienti con metastasi ossee. Questo farmaco, inoltre, non necessita dell’aggiunta di cortisone. L’insieme delle evidenze ne fanno un farmaco orale estremamente maneggevole e sicuro.“
La radioterapia, cardine del trattamento del tumore prostatico, in una logica multidisciplinare
Quanto è importante l’approccio multidisciplinare e la collaborazione tra urologo, oncologo medico e radioterapista sia nella fase che precede la diagnosi sia nel successivo percorso di cura? Cosa si sta facendo per rafforzare questo tipo di approccio?
“Il lavoro di squadra e la collaborazione tra le diverse figure specialistiche sono fondamentali, perché permettono ai clinici di scegliere la terapia più idonea per il singolo caso. Per esempio, l’oncologo medico e l’urologo sono esperti nei loro rispettivi settori, ma non in quello della radioterapia o dell’anatomia patologica, discipline per le quali esistono specialisti dedicati. Siamo complementari. Alcuni studi dimostrano che il lavoro multidisciplinare e la collaborazione tra le varie figure specialistiche migliorano del 10% i risultati clinici in oncologia. Anche in Italia, come in molti Paesi questa esigenza è stata recepita. Da qui nasce la volontà di creare delle Prostate Cancer Unit simili a quelle già esistenti per il tumore della mammella. Questo obiettivo è più complesso per i centri più piccoli dove è maggiore la difficoltà ad avere accesso alle tre figure principali – urologo, oncologo medico e radioterapista – coinvolte nel processo terapeutico decisionale, e dove comunque si potrebbe ricorrere all’utilizzo della telemedicina e la multidisciplinarità è auspicabile,” spiega Barbara Jereczek Professore associato di Radioterapia, Università degli Studi di Milano, Direttore Divisione di Radioterapia, Istituto Europeo di Oncologia (IEO), Milano.
Una delle strategie terapeutiche disponibili per il trattamento del tumore prostatico è la radioterapia: come si è evoluta negli anni e quanto è importante questo approccio per il cancro della prostata?
“La radioterapia ha subito nei decenni una vera e propria rivoluzione e continua ad essere uno dei pilastri del trattamento del tumore prostatico, con un ruolo importante in tutte le fasi della malattia, non solo in quella iniziale. Nella malattia iniziale, o organo-confinata, cioè circoscritta alla prostata, la radioterapia costituisce una valida alternativa alla chirurgia, tanto da essere stata definita “chirurgia virtuale”; viene utilizzata solitamente nei pazienti che presentano controindicazioni alla chirurgia o che la preferiscono come tipo di approccio. Sia la chirurgia che la radioterapia sono due metodiche di approccio locale alla malattia, ma con un profilo di tossicità diverso e diverse conseguenze: la prima può dare come esito incontinenza urinaria e impotenza, la seconda può provocare infiammazione dei tessuti (il tasso dell’impotenza sembra essere più basso rispetto alla chirurgia radicale). In questi ultimi anni l’evoluzione tecnologica sia della chirurgia e della radioterapia ha ridotto l’impatto degli effetti collaterali e migliorato la qualità di vita degli pazienti oncologici. Quando la malattia è localmente avanzata, ossia con estensione extraprostatica alle strutture adiacenti alla ghiandola, senza però metastasi ma con un elevato rischio di recidiva, viene utilizzato un approccio combinato radioterapia ed ormonoterapia, oppure una chirurgia seguita da radioterapia adiuvante a scopo precauzionale. Nei casi di malattia metastatica, oligometastatica, ossia con un numero limitato di metastasi, si può utilizzare la radioterapia mirata selettiva sulle singole metastasi; se, invece, sono presenti numerose metastasi sintomatiche (es. dolore, come nel caso delle metastasi ossee) la radioterapia assume un ruolo di palliazione, ed ha lo scopo di ridurre la sintomatologia dolorosa, che può essere molto invalidante per il paziente.“
Quali sono i trattamenti radioterapici disponibili e come vengono utilizzati nelle diverse fasi della malattia?
“Attualmente disponiamo di numerose modalità di trattamento radioterapico: una di queste è la brachiterapia, che consiste nell’impianto di sorgenti radioattive all’interno della ghiandola prostatica, nei casi di malattia iniziale. Il 99% dei pazienti trattati con radioterapia, però riceve la radioterapia a fasci esterni, non invasiva, caratterizzata da radiazioni più forti e più concentrate rispetto a quelle che si usano nella radiodiagnostica. Le tecniche a disposizione, grazie agli enormi progressi tecnologici, si sono altamente affinate, ciò ha permesso l’utilizzo di dosi elevate ed altamente selettive di radiazioni anche per singola seduta di radioterapia, offrendo un ampio ventaglio di opportunità per tutti gli stadi di malattia. Basti pensare che fino a qualche anno fa i cicli di radioterapia erano molto lunghi, potendo durare anche due mesi; adesso in tante situazioni cliniche la terapia è ipofrazionata, vale a dire che viene somministrata una dose equivalente a quella della radioterapia tradizionale, ma con un numero nettamente inferiore di sedute ambulatoriali. La riduzione del numero di sedute è strettamente collegata alle maggiori conoscenze radiobiologiche del tumore della prostata, che hanno evidenziato come esso sia più sensibile a “dose per frazione”, o per seduta, ciò significa che il tumore risponde meglio a cicli più brevi.“
A Torino si è svolto nei giorni scorsi il Congresso Europeo di Radioterapia. Quali sono le novità emerse per quanto riguarda il tumore prostatico da questo importante evento?
“Le novità sono numerose e per tutte le fasi di malattia. Al meeting sono stati presentati dati di efficacia e di minore tossicità degli attuali trattamenti radioterapici. La ricerca è impegnata a trovare nuovi biomarcatori molecolari e a studiare il profilo genetico dei pazienti, cosa che ci permetterà, tra qualche anno, di predire ad esempio il rischio di ripresa di malattia del tumore prostatico, o la tossicità legata ai trattamenti effettuati. Il nostro gruppo ha presentato i dati di una ricerca tuttora in corso, finanziata da AIRC, in cui i pazienti sono trattati con un sovradosaggio di radiazioni dirette al tumore prostatico principale e inoltre, sotto guida della risonanza magnetica, vengono eseguite biopsie mirate della lesione tumorale. L’obiettivo è individuare biomarcatori molecolari che aprano la strada ad una sempre più precisa selezione dei pazienti, nonché ad un preciso utilizzo delle risorse terapeutiche, grazie all’identificazione di caratteristiche biologiche e genetiche in grado di predire la sensibilità o resistenza al trattamento radioterapico.“