Aids: il 43% dei giovani italiani non sa come si trasmette

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Sette italiani su 10 pensano di sapere abbastanza sull’AIDS, ma in realtà uno su 2 non sa rispondere alla domanda su cosa sia l’Hiv e 2 su 5 (43%) fra i giovani nella fascia 25-34 anni non sanno spiegare correttamente come sia possibile che si trasmetta il virus. Lo stigma resiste ancora oggi e il modo in cui viene fatta informazione su questi temi non sembra d’aiuto. Anzi: quasi un italiano su 3 con più di 45 anni ritiene di aver visto associati nella comunicazione Hiv e ‘peste’ o ‘cancro dei gay‘, “stereotipi che col tempo si pensava di aver superato“.

Sono alcuni dei dati emersi da un’indagine condotta dalla società di ricerche demoscopiche Swg su un campione rappresentativo di mille persone, e presentata oggi in occasione di Icar 2016, l’Italian Conference on AIDS and retroviruses in corso a Milano. A commissionarla Nps (Network persone sieropositive) Italia onlus, sull’onda di una riflessione avviata dall’associazione in seguito a recenti casi finiti alla ribalta delle cronache italiane: dalla storia di Valentino, accusato a Roma di aver contagiato diverse donne, a quella di Claudio, 55enne Hiv-positivo arrestato nel bresciano per prostituzione minorile e tentate lesioni. “Leggere di recente sui giornali di ‘untori’ e ancora dello stigma da riservare alle persone con Hiv – spiega in una nota Rosaria Iardino, presidente onorario di Nps Italia Onlus – è stato desolante e ci ha spinto a monitorare scientificamente i livelli di disinformazione degli italiani. Ciò che preoccupa è la scarsa conoscenza che denunciano le fasce giovani di intervistati, che statisticamente rappresentano quelle più a rischio contagio. Tutto questo dimostra che a livello di prevenzione, e comunicazione, sul tema AIDS/Hiv bisogna fare ancora molto“.

aidsL’associazione ha anche presentato “un esposto all’Ordine nazionale dei giornalisti per denunciare un modo sbagliato di far cronaca sulla malattia“, sottolinea Margherita Errico, presidente di Nps Italia onlus. Il messaggio è che “bisogna prima di tutto intervenire contro lo stigma che ancora riguarda le persone con Hiv, additate come potenziali ‘pericoli sociali’, come conferma un certo gergo usato in alcuni articoli di cronaca. Tutto ciò rischia di inficiare quanto fatto in questi anni, rischia di mettere in forse le conquiste avute sul piano del welfare, perché una paura irrazionale e ingiustificabile potrebbe tornare a discriminare chi è positivo al virus dell’Hiv“. L’esito dell’indagine Swg, osserva, “fa pensare che la causa principale di questa cattiva informazione sia la scarsa conoscenza che si continua ad avere dell’infezione e della vita quotidiana e concreta delle persone con Hiv“. Errico parla di “immaginari anacronistici. Le istituzioni devono intervenire, potenziando quei progetti che nascono per tenere alta la guardia contro l’AIDS e per diffondere la corretta conoscenza dei rischi ancora presenti della malattia“.

Basta entrare più nel dettaglio e gli italiani cadono in errore: solo il 37% dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni considera l’Hiv trattabile, contro il 62% delle persone con più di 64 anni. La domanda su cosa significhi avere la carica virale azzerata vede i ragazzi più giovani e i 45-55enni convinti, rispettivamente nel 28% e 25% dei casi, che voglia dire non essere infettivi. Nelle altre fasce di età questa percentuale è nettamente più bassa: 15%-19%. I “non so” si collocano tra il 26% e il 40%. Quanto all’eco avuto sui mass media dai casi di cronaca di Roma e Brescia, poche persone hanno ricostruito autonomamente gli episodi in questione ma, tra chi ha ricordato, più della metà ha rilevato un approccio da parte dei mass media finalizzato a evidenziare il lato scandalistico o allarmistico degli episodi.

Una malattia come l’Hiv/AIDS, spiega l’associazione, “che di suo comporta una carica emozionale molto elevata, deve essere trattata in modo molto tecnico, equilibrato e competente, poiché ogni scivolone comunicativo è in grado di scatenare paure e di fissare nel tempo idee e pregiudizi immotivati“. Il 32% delle persone, soprattutto quelle che per età hanno vissuto la prima fase dell’infezione legano ancora l’Hiv con tossicodipendenza e categorie a rischio. Bassissime invece le percentuali di persone che legano la parola Hiv a termini come vizioso o immorale. “Evidentemente – puntualizza Nps Italia – per un lungo periodo non si è fatto nulla, o molto poco, per spiegare che è un problema che riguarda tutti“. Poca consapevolezza c’è anche su cosa vuol dire vivere con l’Hiv. I ragazzi più giovani pensano più degli altri che una persona Hiv-positiva che decida di vivere pubblicamente la propria condizione sia incosciente, mentre a considerala coraggiosa sono soprattutto le persone tra 55 e 64 anni. L’infezione viene considerata soprattutto grave e pericolosa, molto meno dolorosa. Sono soprattutto i giovani e gli anziani a vedere più l’aspetto della gravità e della contagiosità, mentre la fascia di età 35-54 sembra maggiormente consapevole del risvolto di dolore che l’Hiv può comportare. I ragazzi più giovani sono convinti che essere Hiv+ possa comportare l’essere rifiutati in una relazione sentimentale e sessuale (61%), e essere denigrati o insultati (40%). Al crescere dell’età queste percentuali tendono a calare sensibilmente. La fascia 25-34 è invece quella in cui è più alta la paura che vengano diffuse notizie sul proprio stato di salute (40%). Un ultimo dato viene definito “preoccupante”: la paura del contatto con una persona Hiv+ diminuisce al crescere dell’età in una progressione quasi lineare. Si passa dal 55% a vent’anni al 36% oltre i 64.

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