Brexit, gli effetti dell’Ue anche sulle vongole nostrane: ridotta la taglia minima di quelle pescabili in Italia

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La prima risposta alla Brexit viene dalla riduzione della taglia minima delle vongole pescabili in Italia che rappresenta una di quelle misure odiose che allontanano i cittadini e le imprese dall‘Unione Europea. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che la settimana dopo il referendum della Gran Bretagna si apre operativamente con il comitato di gestione pesca ed acquacoltura dal quale è atteso lunedì finalmente il parere positivo sul piano di Gestione delle vongole italiano con al suo interno la deroga di raccolta del mollusco-bivalvi con taglia minima abbassata da 25 millimetri fino a 22 millimetri, da inviare a Consiglio e Parlamento Europeo per l’approvazione entro i prossimi due mesi.

Le attuali norme comunitarie – sottolinea la Coldiretti – stanno portando alla scomparsa di uno dei piatti più amati dagli italiani poiché i cambiamenti climatici hanno “rimpicciolito” le vongole al di sotto della taglia consentita, esponendo i pescatori a sequestri e multe, fino al blocco totale dell’attività. A rischio non ci sono solo i menu a base di questo mollusco conosciuto con tanti nome dialettali (lupino, purassa, beverassa, concola, cappula,…) ma anche le esportazioni, che rappresentano quasi la metà della produzione nazionale con un impatto devastante su un settore che – sottolinea la Coldiretti – impegna direttamente in Italia una flotta di circa 710 imprese e oltre 1600 addetti ed ha un indotto di altre 300 imprese di commercializzazione all’ingrosso ed un altro migliaio di addetti. Un cambiamento molto atteso poiché adesso – spiega la Coldiretti – basta qualche esemplare fuori misura in mezzo a migliaia di esemplari per far scattare il sequestro dell’intero carico, con sanzioni particolarmente salate, fino al blocco dell’attività. Si tratta in realtà – continua la Coldiretti – solo di una delle norme contestate all’Unione Europea nell’alimentare, dove spesso anziché difendere le distintività territoriali, spinge verso un appiattimento al basso delle normative sotto il pressing delle multinazionali, per dare spazio a quei Paesi che non possono contare su una vera agricoltura e puntano su trucchi, espedienti e artifici della trasformazione industriale per poter essere presenti sul mercato del cibo.

L’Unione Europea – denuncia la Coldiretti – consente ai paesi del Nord Europa di aumentare la gradazione del vino attraverso l’aggiunta di zucchero che è vietata in Italia come pure l’utilizzo di polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare diffuso in tutto Europa. In Italia – continua la Coldiretti – vige la storica “legge di purezza“, la numero 480 del 4 luglio del 1967 e successive modificazioni, che impone l’obbligo di produrre pasta esclusivamente con grano duro che difende dal rischio di trovarsi quella scotta nel piatto come è permesso invece fuori dai confini nazionali. Ma nell’Unione Europea è anche tollerata la produzione e la vendita di pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette italiane più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua ma la Coldiretti ha scoperto anche la commercializzazione di kit che promettono di ottenere in casa in pochi giorni a dal Grana Padano al parmigiano reggiano fino alle imitazioni del Pecorino romano.

Infine nonostante la decisa tendenza recente ad un positivo cambiamento di rotta non vanno dimenticati i ritardi accumulati dall’Unione nel promuovere una legislazione trasparente sull’etichettatura di origine in tutti gli alimenti che consenta ai consumatori di fare scelte di acquisto consapevoli. Contraddizioni evidenti sono infatti presenti per l’indicazione di provenienza che – conclude la Coldiretti – è obbligatoria per la carne fresca ma non per i salumi, per l’ortofrutta fresca ma non per quella trasformata in succhi o conserve, solo per fare qualche esempio.

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