Mare: aree marine protette, il caso italiano un esempio all’interno dell’Ue

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Un totale di 26 riserve, 1 santuario a protezione dei cetacei, 1 parco archeologico sommerso, 2 parchi nazionali con protezione a MARE e l’istituzione prevista di 54 aree marine protette (Amp). Quella italiana è la più grande rete di aree marine protette e a livello internazionale si parla di ‘caso italiano‘. Nel trentennale dell’istituzione del ministero dell’Ambiente, ma anche dell’Area Marina Protetta di Ustica, il bilancio delle Amp è positivo (tra i risultati, il ritorno della foca monaca), ma molto si può ancora fare soprattutto sul fronte gestionale. L’occasione per fare il punto della situazione è stata la presentazione del rapporto Ambiente Italia 2016 di Legambiente. Le aree marine protette “svolgono una funzione anche di gestione e in questo si parla di ‘caso italiano’“, spiega Stefano Donati, direttore dell’Amp Isole Egadi.

In un Paese dove le politiche di gestione della fascia costiera sono assenti e le responsabilità frammentate, le Amp, in virtù delle proprie competenze trasversali, si sono trovate a svolgere un ruolo vicario sperimentando buone pratiche trasformandosi in veri e propri laboratori“. Un risultato ottenuto “grazie a un quadro di regole variabili ‘tagliate su misura’ sulle singole Amp così come i soggetti gestori; la prossimità tra bene tutelato e gestore e grazie al fatto che le Amp sono a tutti gli effetti i Piani di gestione del MARE, dal turismo alla pesca“, sottolinea Donati. Ma ci sono anche dei punti di debolezza: “le Amp sono sottofinanziate dallo Stato, il quadro normativo è da riorganizzare, le competenze frammentate e c’è un’eccessiva dipendenza dal quadro politico contingente“. Ma anche “una scarsa capacità di fare rete e una scarsa autorevolezza rispetto a quella dei parchi terrestri“, conclude Donati.

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