Il solstizio d’estate è carico di forti significati simbolici e rituali. Si dice che i mazzetti di erbe collocati sotto il cuscino favoriscano i sogni divinatori. Le erbe giocano un ruolo di primo piano nelle tradizioni solstiziali e di San Giovanni. Si raccolgono piante aromatiche da bruciare sui falò, piante che fanno poco fumo e hanno un buon aroma (es. ruta, timo, maggiorana) ed è comune credenza che molte piante abbiano quasi poteri miracolosi.
Il vischio è un’importante pianta solstiziale nella tradizione celtica. Secondo lo scrittore romano Plinio, gli antichi Druidi lo raccoglievano con un falcetto d’oro, strumento che univa la forma lunare al metallo solare. I rami di vischio, al solstizio d’estate, assumono un aspetto dorato: il famoso ramo d’oro dei miti. Si narra anche che il seme di felce permetteva di trovare tesori nascosti, mentre il leggendario fiore di felce (che non esiste, al pari del seme, dato che la felce è una pianta pteridofta, ossia che si riproduce tramite spore) rendeva invisibili i suoi fortunati raccoglitori.
Ed ancora: la verbena porta prosperità, l’artemisia, sacra ad Artemide, sorella di Apollo, protegge dal malocchio, nella calendula e nell’iperico si raccoglie l’energia solare. L’iperico, legato nella memoria popolare al solstizio d’estate, risalta nelle grandi distese, come una gran macchia di color giallo-oro, misto a rame. I suoi fiori, così brillanti e luminosi, durano solo un giorno, per poi appassire, assumendo un colore rosso-ruggine. Si tratta di un fiore dei campi, detto “erba di San Giovanni” poiché anticamente chi si trovava per strada la notte della vigilia, quando le streghe si recavano a frotte verso il luogo del convegno annuale, se ne proteggeva, infilandoselo sotto la camicia insieme con altre erbe (aglio,artemisia, ruta).
Il suo stretto legame col Battista sarebbe testimoniato dai petali che, strofinati tra le dita, le tingono di rosso ed il succo è detto “sangue di San Giovanni”. Perché tale collegamento proprio col Battista e non con un altro martire? Forse perché l’iperico è un fiore che si accontenta di poco per sopravvivere anche in climi desertici, proprio come fece un tempo San Giovanni Battista. Forse dietro le storie dei raduni di incantatrici e fattucchiere nella notte di mezza estate si cela il ricordo dei riti solstiziali celtico/germanici intorno ad un albero, il cosiddetto “noce di Benevento”, o delle feste licenziose in onore della dea Fortuna che, nell’antica Roma, si tenevano il 24 giugno. Fortuna era la dea della casualità assoluta, del caos benefico e rigeneratore. La somiglianza di questa festa con i Saturnali del solstizio d’inverno fa del solstizio estivo una sorta di capodanno o di carnevale; un periodo caotico in cui il cosmo si rinnova e si ricrea, con rimescolamento dei ruoli sociali e capovolgimento delle regole normali.