Un paziente su quattro sviluppa insufficienza cardiaca entro 4 anni dal primo infarto. E con l’aumentare dell’età la situazione peggiora: ogni 10 anni in più sulla carta di identità, il rischio di sviluppare un cuore che non pompa a sufficienza aumenta del 45%, mentre condizioni socioeconomiche sfavorevoli e povertà aumentano la possibilità del 27%. In questo quadro si inseriscono di prepotenza altre condizioni morbose come diabete (rischio aumentato del 44%), fibrillazione atriale (+63%), malattie polmonari ostruttive (+28%), ipertensione (+16%) e molto altro, una compagnia tutt’altro che desiderabile. Mentre si sperimentano terapie innovative per il cuore che non riesce a pompare, come quella a base di cellule staminali prelevate dal midollo osseo e poi iniettate nel cuore come annunciato in un recente studio su Lancet, un gruppo di ricercatori islandesi ha progettato una ricerca con l’obiettivo di stabilire la prevalenza di insufficienza cardiaca (Hf- Heart Failure) in una coorte di anziani rappresentativi della popolazione generale islandese, e predire il numero di soggetti più a rischio nel futuro.
Sono stati quindi analizzati i dati di 5706 individui che hanno partecipato allo studio Ages-Reykjavík. Il range di età era 66-98 anni (età media 77) e il 57,6% erano di sesso maschile. In entrambi i sessi la prevalenza di Hf era 3.7% ma scorporando i dati secondo il sesso, gli uomini hanno mostrato una percentuale più alta, quasi doppia (4,8%) rispetto alle donne (2,8%). Le proiezioni per i prossimi anni non sono incoraggianti e gli esperti stimano che i 1.439 casi l’anno nel 2040 saranno 2915 e nel 2060 ben 3703 in parte a causa del progressivo aumento della popolazione anziana. “È possibile trasferire questi dati a tutta la popolazione europea – sottolinea Michele Gulizia, direttore della Cardiologia dell’Ospedale Garibaldi di Catania e Esc Local Press Coordinator – le malattie cardiache, in assenza di educazione e prevenzione, saranno il maggior problema sanitario dei prossimi decenni. Nonostante la mortalità generale per cause cardiache stia diminuendo, la cronicità è il tributo che pagheremo a fronte della longevità“.
“L’insufficienza cardiaca – aggiunge Francesco Romeo, direttore della Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma – è la condizione per cui il cuore non riesce più a pompare adeguatamente il sangue; il paziente ha difficoltà a compiere sforzi fisici, problemi agli organi periferici dove arrivano meno ossigeno e nutrienti. A lungo andare il cuore non ce la fa più e il paziente ha bisogno di un trapianto. E’ uno dei problemi sanitari più rilevanti nei paesi industrializzati. Dati internazionali rilevano che l’incidenza e la prevalenza dello scompenso cardiaco aumentano con l’età. Sotto i 65 anni l’incidenza è 1/1000 uomini per anno e 0,4/1000 donne per anno. Dopo i 65 anni l’incidenza è di 11/1000 uomini per anno e 5/1000 donne per anno. Sotto i 65 anni la prevalenza è 1/1000 uomini e 1/1000 donne, dopo i 65 anni la prevalenza è 40/1000 uomini e 30/1000 donne. Dati recenti confermano in Italia un’incidenza molto simile ai dati sopra riportati pari allo 0,1-0,2% (87.000 nuovi casi all’anno) con una prevalenza dello 0,3-2% (circa 600.000 soggetti). L’insufficienza cardiaca rappresenta, tra l’altro, la più frequente causa di ospedalizzazione nella popolazione anziana e dei conseguenti Drg prodotti e tra i ricoveri ospedalieri è il primo Drg medico“.
“Il quadro clinico che nella maggior parte dei casi si presenta in modo graduale e progressivo, e il più spesso ha un andamento cronico, anche se talvolta, in particolare nell’ambito dei quadri della cardiopatia ischemica o nel contesto di una miocardite, può esordire in termini acuti se non drammatici – spiega Leonardo Bolognese, direttore della Cardiologia dell’ ospedale di Arezzo – L’epidemiologia dello scompenso cardiaco è andata mutando nell’arco degli ultimi due decenni in relazione al progressivo allungamento della vita media della popolazione generale ed alla riduzione della mortalità precoce per infarto miocardico acuto, assumendo particolare importanza anche in relazione al suo impatto socio-sanitario e ai costi per il sistema sanitario“. “La prognosi, una volta comparsa la sintomatologia, è tuttora infausta nonostante i progressi della terapia, con una mortalità che tocca il 50% a 2 anni nei soggetti con scompenso cardiaco avanzato, e che quindi risulta superiore a quella di numerose patologie neoplastiche“, conclude.