Salute: i disastri naturali segnano il cuore, lo studio dal Giappone

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I disastri naturali lasciano il segno sul cuore, con effetti a lungo termine che si traducono in un forte aumento del rischio di insufficienza cardiaca negli anni successivi alla drammatica esperienza vissuta. Sono i risultati di uno studio giapponese sullo tsunami del 2011 – presentato al Congresso europeo di cardiologia, Esc 2016, in corso a Roma – che ha rilevato casi di insufficienza 1,66 volte maggiori nelle aree più colpite nell’anno del disastro e una percentuale che rimaneva elevata nei due anni successivi. “Stress, traumi e cuore non sono buoni amici e se un po’ di emozioni sono di certo le spezie dell’esistenza, l’eccesso ha effetti diretti sull’organo cardiaco“, spiega dal summit europeo Leonardo Bolognese, direttore di Cardiologia all’ospedale di Arezzo. “Già alcuni studi – ricorda – avevano mostrato un aumento dei casi di insufficienza cardiaca congestizia dopo il terremoto e lo tsunami che hanno colpito il Giappone nel 2011, ma si trattava di studi che riferivano dei dati episodici, mentre all’Esc viene presentata una nuova ricerca che si è posta l’obbiettivo di determinare gli effetti a lungo termine del disastro mettendo a confronto dati clinici degli abitanti di aree più vicine all’epicentro del disastro in un periodo di 2-4 anni, misurando i dati epidemiologici secondo i parametri dello studio Framingham“. La gravità dei danni in ogni municipio colpito dallo tsunami del 2011 è stata valutata sulla percentuale di inondazione. Le aree più disastrate sono state definite ‘ad alto impatto’ in base a una scala precisa, mentre quelle dove l’impatto è stato minore sono state utilizzate come aree di controllo. Tra i sopravvissuti l’aumento dei casi di sindrome coronarica acuta, cardiomiopatie, embolismo polmonare ed eventi acuti cerebrovascolari si è evidenziato immediatamente, a causa sia dello stress acuto sia della mancanza di servizi efficienti e della carenza di medici e volontari. Lo stress mentale, la paura e i drammatici cambiamenti ambientali – osservano gli esperti – causano un’anomala attivazione del sistema nervoso simpatico che determina cascate ormonali che interferiscono con pressione arteriosa, aumento della coagulazione e attività delle piastrine, fattori che possono agire come scatenanti di eventi cerebrovascolari. Duranti i 6 anni di sorveglianza sono stati identificati 2.059 nuovi casi di insufficienza cardiaca. La percentuale di incidenza dell’insufficienza cardiaca rilevata nelle aree più colpite è stata messa a confronto con quelle meno interessate. Il risultato è stato che il numero dei casi era 1,66 volte più elevato nell’anno dello tsunami e rimaneva alto in due anni successivi, mentre nelle zone meno colpite non si evidenziavano differenze significative nell’incidenza. E i casi erano direttamente proporzionali all’impatto sull’ambiente e sulla percentuale di popolazione evacuata. Un precedente studio aveva rivelato che l’incidenza di insufficienza cardiaca tra gli uomini anziani nelle aree più colpite dagli allagamenti era raddoppiato durante le 4 settimane successive al disastro. Altre ricerche avevano già mostrato importanti alterazioni della pressione sanguigna dopo forti terremoti, uragani, incidenti nucleari e aumento dei livelli serici di colesterolo, trigliceridi, ematocrito, fibrinogeno e fluidità del sangue. (AdnKronos)

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