Nelle ore immediatamente successive ad un disastro naturale, ma non solo, capita molto frequentemente che le linee telefoniche siano interrotte o intasate, rendendo praticamente impossibili le comunicazioni tra operatori di emergenza e vittime, dispersi e familiari. Ovviamente la colpa di tutto ciò può essere la distruzione fisica della linea di comunicazione, dovuta al terremoto ad esempio, ma molto spesso ha anche una ragione più pratica: migliaia di persone cercano di chiamare parenti, amici e soccorsi intasando le reti, che non sono in grado di sopportare una richiesta di banda così elevata, e quindi crollano. È in questa chiave che vanno letti gli appelli, sempre più frequenti in caso di terremoti, tsunami o tornado, a rendere liberamente accessibile le connessioni WiFi delle proprie abitazioni, da parte di chi si trova nelle aree colpite. Anche nel caso del terremoto che pochi giorni fa ha colpito e devastato alcuni comuni del centro Italia tra Lazio, Marche e Abruzzo, diverse istituzioni hanno diffuso l’appello a decriptare le proprie connessioni internet, così da semplificare l’accesso a WhatsApp, Facebook Messenger, Telegram, Skype e agli altri servizi di comunicazione che funzionano senza rete telefonica.
Nei vari anni è stato più volte analizzato il ruolo del WiFi durante disastri naturali, sia per comunicare con i propri parenti, sia per accedere ad informazioni di grande valore (come interventi di emergenza e misure di evacuazione) ed infine per chiedere aiuto, segnalando eventualmente la propria posizione. Lo sblocco delle reti WiFi, ovviamente, porta con sé anche qualche rischio ‘tecnico’: i dati trasmessi all’interno della connessione sono potenzialmente esposti a terzi. È per questo consigliato di non effettuare operazioni sensibili (come accedere alla propria mail, o ai propri account bancari) durante il periodo in cui il router rimane privo di password.