Astrodeep: nel cuore dei territori di frontiera con il progetto Frontier Fields

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Continuano i passi avanti della ricerca nell’individuazione e nella comprensione delle prime galassie dell’universo. L’ambizioso progetto Frontier Fields ha messo insieme le forze dei tre più grandi osservatori di cui la NASA può disporre – Spitzer, Hubble e l’Osservatorio a raggi X Chandra – per addentrarsi tanto indietro nello spazio e nel tempo quanto può permettere la tecnologia più raffinata ad oggi disponibile.

Anche con i telescopi  più potenti è difficile raccogliere abbastanza luce dalle prime galassie, distanti oltre 13 miliardi di anni luce, per poter sapere qualcosa in più sulla loro natura che vada oltre la sola distanza approssimativa. Ma gli scienziati hanno un asso nella manica. A loro disposizione infatti hanno uno strumento di proporzioni cosmiche, e non è una battuta! Si chiama effetto lente gravitazionale, cioè una sorta di lente d’ingrandimento cosmica che fa apparire  più grande e più luminosa una galassia situata alle spalle di un’altra sorgente che viene definita “lente”. Il fenomeno, previsto da Einstein nella sua Teoria della Relatività Generale, permette di osservare oggetti molto lontani, quindi impossibili da raggiungere con la sola tecnologia a nostra disposizione.

Le osservazioni fatte per il progetto Frontier Fields hanno consentito di studiare galassie distanti grazie all’effetto lente di sei dei più massicci ammassi di galassie vicini ad oggi noti. La luce di queste sorgenti remote è stata amplificata anche cento volte o più, fornendo agli studiosi una quantità di dati enorme e dettagli mai osservati prima sulle galassie primordiali.

Sulla rivista Astronomy & Astrophysics sono stati di recente pubblicati due lavori che presentano i dati completi raccolti per due dei sei ammassi di galassie studiate nell’ambito di Frontier Fields: Abell 2744 – soprannominato Cluster di Pandora – e MACS J0416, entrambi situati a circa quattro miliardi di anni luce di distanza. Gli altri ammassi di galassie selezionate per Frontier Fields sono RXC J2248, J1149 MACS, MACS J0717 e Abell 370.

Questi studi presentano per la prima volta il catalogo dei flussi luminosi dall’ultravioletto all’infrarosso e informazioni sullo spostamento fotometrico verso il rosso e sulle proprietà fisiche di migliaia di galassie nei campi Frontier Fields Abell-2744 e MACS-J0416. I lavori coinvolgono molti ricercatori INAF e sono frutto del progetto Astrodeep, una collaborazione europea a guida italiana, il P.I. è Adriano Fontana, dell’INAF Osservatorio Astronomico di Roma. Le prime firme dei due lavori sono diEmiliano Merlin e Marco Castellano, anche loro in forze all’OA Roma, cui abbiamo chiesto un commento in proposito alle prospettive che questo studio apre per lo studio delle galassie lontane.

«Queste regioni del cielo così ricche di oggetti celesti sono una risorsa straordinaria, ma comportano grosse difficoltà tecniche, proprio a causa della presenza delle grandi e luminose galassie-lente», diceEmiliano Merlin, «allo scopo di identificare le deboli sorgenti sullo sfondo abbiamo sviluppato metodi innovativi di analisi delle immagini,  per mascherare la luce di tali ‘lenti’ e per combinare in modo accurato i dati raccolti alle diverse lunghezze d’onda».

«Questi primi cataloghi ci hanno permesso di vedere galassie decine di volte meno massicce di quelle tipicamente osservate sino a oggi, scoprendo che sono molto efficienti nel formare stelle» aggiungeMarco Castellano. «In questo momento stiamo applicando le stesse tecniche agli altri quattro Frontier Fields per capire più in dettaglio come e quando si sono formate le prime galassie e che ruolo hanno giocato nel processo di reionizzazione che rese l’Universo trasparente alla luce».

Gli astronomi potranno quindi spulciare questi cataloghi per cercare gli oggetti più remoti e più amplificati dall’effetto lente, alcuni dei quali potrebbero rivelarsi le galassie più distanti mai individuate. Il record di ‘anzianità’ al momento è detenuto da una galassia nota come GN-z11, scovata dai ricercatori di Hubble lo scorso marzo alla distanza di 13,4 miliardi di anni luce da noi, solo poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. La scoperta di questa galassia è un evento raro perché si tratta di una sorgente particolarmente luminosa; il progetto Frontier Fields permetterà di trovare molti oggetti altrettanto distanti ma più deboli, dandoci un quadro più preciso e completo delle prime galassie.

Gli astronomi vogliono infatti capire come queste galassie primordiali nacquero, come hanno assemblato le loro stelle, e come queste stelle abbiano arricchito le galassie degli elementi chimici creati nelle loro fornaci termonucleari. Per raggiungere questo scopo hanno bisogno di raccogliere la maggior quantità di luce possibile, in diverse frequenze dello spettro ottico. In tal modo è infatti possibile eseguire l’analisi  dello spettro luminoso di queste distantissime galassie, ottenendo dettagli sulle caratteristiche delle popolazioni di stelle che le compongono.

E se gli scienziati ad oggi hanno potuto ottenere simili risultati combinando le osservazioni fatte nell’infrarosso con Spitzer con le osservazione in banda ottica di Hubble, chissà quali dati si potranno ottenere quando sarà attivo il James Webb Space Telescope, il cui lancio è previsto per il 2018, che promette di essere 100 volte più potente di Hubble. Questo nuovo potentissimo strumento permetterà di osservare regioni dell’universo ancora inesplorate, spostando ancora più in là il confine dei ‘territori di frontiera’.

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