Alcune particelle fisiche sono più pericolose di altre. Come i famigerati elettroni ultrarelativistici, talmente letali da riuscire a mandare in tilt il più sofisticato sistema di protezione satellitare. Per questo gli astronomi li chiamano ‘elettroni killer’: non esiste ad oggi un modo efficace per difendere le nostre telecomunicazioni da questa categoria di particelle. Ma ora una nuova scoperta di un team di ricerca internazionale coordinato dall’University of California (UCLA) potrebbe fornire la chiave per comprendere almeno l’esatta provenienza delle particelle ultrarelativistiche.
Partiamo dalle cose già note: che l’Universo è radioattivo lo ha intuito per primo il fisico James Van Allen nel 1958, analizzando i dati del satellite americano Explorer 1. Questa scoperta, rivoluzionaria per l’astrofisica, ha svelato la presenza di due giganti ‘ciambelle’ di gas elettrificato attorno alla Terra, ribattezzate appunto fasce di Van Allen.
Posizionate tra l’orbita geostazionaria (quella utilizzata dai satelliti per le telecomunicazioni) e l’orbita bassa (dove si trova la Stazione Spaziale Internazionale), le fasce di Va Allen sono formate da una cintura interna più piccola e da una esterna più ampia e più dinamica.
È proprio questa la ‘patria’ delle particelle più radioattive, spiega l’Agenzia Spaziale Italiana: gli elettroni relativistici e quelli ultrarelativistici. Ma mentre è possibile proteggere i satelliti dai primi, se gli elettroni killer intercettano malauguratamente le nostre telecomunicazioni l’interferenza è sicura.
Ora, la domanda cruciale è: in che modo questi elettroni si ‘staccano’ dalle fasce di Van Allen per andare a vagare in modo random nello spazio?
Il nuovo studio, pubblicato su Nature Communications, risponde a questa domanda presentando un modello alternativo rispetto alle teorie più diffuse: secondo i ricercatori dell’UCLA, le particelle killer iniziano il loro viaggio assassino come conseguenza delle tempeste di elettroni.
Si tratta di fenomeni molto violenti che libererebbero le particelle radioattive dalla ‘trappola’ del campo magnetico terrestre, rilasciandole nello spazio interplanetario.
Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno costruito dei modelli a partire dalle misurazioni effettuate durante una tempesta di elettroni nel 2013.
I dati mostrano che in quell’occasione gli elettroni relativistici e ultrarelativistici più intensi si sono posizionati in luoghi diversi delle fasce di Van Allen; in particolare, le particelle ultrarelativistiche erano ben profondamente impiantate nella magnetosfera.
“Questa scoperta – dice Yuri Shprits dell’UCLA – potrebbe aiutare a sviluppare nuovi metodi per pulire le cinture radioattive da particelle dannose, e rendere l’ambiente attorno alla Terra più sicuro per i satelliti”.