Anche nello spazio il legame genitori-figli conta. Eccome. Nella caccia ai mondi extrasolari è ormai accertato chele caratteristiche di un pianeta sono strettamente connesse alle proprietà della stella attorno alla quale orbitano. Conoscere le ultime è fondamentale per definire le prime. Riuscire a caratterizzare l’astro-madre, ad esempio, è una condizione imprescindibile per decretare se il mondo preso in esame abbia dimensioni paragonabili a quelle della Terra o se invece sia grande quanto Giove.
Tuttavia, per determinare la taglia di un esopianeta non è soltanto necessario conoscere il raggio della stella che lo ospita. C’è un altro fattore che gli astronomi sono tenuti a considerare, spiega l’Agenzia Spaziale Italiana: la presenza di un eventuale astro compagno. Una condizione peraltro molto comune in cielo – circa la metà dei sistemi conosciuti sono infatti di tipo binario – che può generare previsioni ‘sballate’ sul diametro dei pianeti ospiti. Se la luce extra proveniente dal secondo astro viene erroneamente imputata al primo i mondi del sistema binario possono risultare più piccoli di quanto essi siano in realtà. Il margine di errore può variare da un 10 per cento fino a un fattore di due.
Prendiamo il caso di TRAPPIST-1, oggetto interessante e relativamente vicino – si trova ad ‘appena’ 40 anni luce da noi – finito sotto i riflettori perché nella sua corte orbitano tre piccoli pianeti dalla sospetta natura rocciosa, uno dei quali situato nella zona abitabile e quindi candidato ad avere acqua liquida in superficie. Se TRAPPIST-1 non fosse un astro ‘single’, come il nostro sole, ma avesse una compagna ‘nascosta’, le dimensioni dei pianeti figli non sarebbero più assimilabili agli standard terrestri, la loro taglia risulterebbe invece più simile a quella di giganti ghiacciati come Nettuno.
Per sciogliere ogni dubbi sulla natura della nana rossa e quindi sul potenziale scientifico del sistema planetario ‘trappista’, Steve Howell, scienziato senior presso il Centro di Ricerca AMES della NASA a Moffett Field, in California, ha utilizzato uninterferometro appositamente progettato, chiamato Differential Speckle Survey Instrument (DSSI), montato sul telescopioGemini in Cile. Combinando migliaia di esposizioni ad alta risoluzione prodotte dal DSSI e isolando i disturbi causati dall’atmosfera terrestre, il team di Howell ha decretato che la radiazione proveniente dal sistema TRAPPIST-1 è generata da una sola stella.
Lo studio del gruppo di ricerca pubblicato il 13 settembre su Astrophysical Journal Letters conferma dunque che i pianeti hanno dimensioni paragonabili a quelle della Terra e potrebbero essere rocciosi.L’attenzione su TRAPPIST-1, dunque, resta alta. Ulteriori misure saranno svolte dal telescopio Kepler che entro la fine dell’anno terrà sotto osservazione la stella e il suo sistema per circa 75 giorni, cercando di definire con maggiore precisione raggio, periodo orbitale e massa dei tre esopianeti.