Era novembre 2015 quando uno studio pubblicato su ‘Lancet Infectious Diseases‘ definiva il mondo “sull’orlo di un’era post-antibiotica“. Non era il primo allarme lanciato dal mondo della scienza e non è stato l’ultimo. A maggio 2016, per esempio, a riaccendere i riflettori è stata una review sul tema dell’antibiotico-resistenza, rimbalzata sulla stampa globale, in cui secondo una proiezione si ipotizza che i superbatteri possano arrivare a uccidere “una persona ogni 3 secondi entro il 2050“, a meno che il mondo non si muova in tempo. “C’è una lista di azioni necessarie e urgenti su cui occorrerebbe concentrarsi per vincere la sfida contro questa minaccia globale“, assicura all’AdnKronos Salute l’immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Irccs Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University, il ‘cervello’ italiano più citato nel mondo. Ancora una chiamata all’azione, su una questione che ha attirato anche l’attenzione dell’Onu: per il 21 settembre il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha convocato un ‘meeting di alto livello’ nel quartier generale di New York sulla resistenza antimicrobica, con la partecipazione di Stati membri, organizzazioni non governative, rappresentanti della società civile, istituzioni accademiche e del settore privato.
Obiettivi: fornire un input, sollecitare un forte impegno politico nazionale e internazionale per affrontare il problema in modo completo e multisettoriale, e aumentare e migliorare la consapevolezza sulla portata della minaccia, elenca la stessa Onu presentando l’appuntamento. In rari casi l’organizzazione si è occupata di problemi di Salute. E ora accende un ‘faro’ sui superbatteri. Per Mantovani sono 4 i punti cruciali su cui concentrarsi: “Il primo è che abbiamo bisogno di più ricerca – sottolinea lo scienziato – sia per lo sviluppo di antibiotici sia per indagare sul rapporto dei germi resistenti con il sistema immunitario. Al momento, infatti, non capiamo perché in alcune situazioni li teniamo sotto controllo e in altre no“. Poi, continua, “dobbiamo cambiare i nostri comportamenti. Utilizziamo gli antibiotici in maniera sconsiderata in veterinaria e in medicina: li usiamo quando non servono e li usiamo male quando servono. E su questo fronte il nostro Paese non si comporta bene“.
Ancora: a minaccia globale si risponde con alleanza globale. Il terzo punto, continua Mantovani, è dunque “fare rete. Noi come Humanitas, per esempio, siamo parte di un network di sorveglianza in Lombardia coordinato dall’Infettivologia di Monza e del Sacco, e facciamo lavoro di squadra e ricerca“. L’ultimo punto, i vaccini: “Intanto usiamo quelli che già abbiamo a disposizione“. Mantovani porta due esempi: “Il primo riguarda lo pneumococco che causa da 600 a 800 mila morti l’anno nel mondo, in larga parte bambini. Ho lavorato nel board della Global Alliance for Vaccines and Immunization (Gavi), che punta a salvare i bimbi che muoiono per mancanza di vaccini nei paesi più poveri del mondo. Allora è partita un’iniziativa a ‘marchio italiano’ sull’antipneumococco e abbiamo visto che protegge e salva vite, ma anche che diminuiscono i batteri resistenti e c’è meno bisogno di usare antibiotici“. Antipneumococco che “peraltro è stato raccomandato anche per le persone con più di 65 anni d’età“.
L’altro esempio è sui virus influenzali. Virus che “sopprimono le difese immunitarie e rendono più soggetti a infezioni batteriche – ricorda l’immunologo – E infatti non si muore di influenza, ma di infezioni batteriche che si associano all’influenza. Se noi ci vacciniamo, di conseguenza si useranno meno antibiotici“. La ricerca avrà tanto lavoro da fare, se vuole contribuire alla sconfitta dei ‘superbug’. C’è bisogno, conclude Mantovani, di “nuovi antibiotici, capitolo che era stato messo da parte dall’industria per motivi economici, ma mi sembra che adesso si assista a una ripresa. Ricordo, a questo proposito, che il nostro Paese ha una straordinaria tradizione per la ricerca e la scoperta di antibiotici. La rifampicina, che ha cambiato la storia naturale del micobatterio della tubercolosi, è stata scoperta qui. C’è bisogno di ricerca sul sistema immunitario, da portare avanti per capire quali sono i motivi e i meccanismi della resistenza o della suscettibilità, o ancora quali sono i motivi per cui un’infezione diventa sepsi da klebsiella, che è uno dei problemi che abbiamo. E c’è, infine, bisogno di lavorare allo sviluppo di vaccini o di approcci immunologici alla terapia“.