“Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati 30 casi di tumore in pazienti under 40, pari al 3% delle nuove diagnosi. La perdita della prospettiva della paternità o della maternità a seguito dei trattamenti anti-cancro può avere un impatto notevole sulle persone che vivono l’esperienza della malattia e sui loro progetti futuri. Per questo è indispensabile che questi giovani pazienti siano immediatamente informati delle possibili tecniche per preservare la fertilità“. Per questo l’Aiom, Associazione italiana di oncologia medica, condivide gli obiettivi del Fertility Day voluto dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin: un’occasione per spiegare come è possibile difendere la salute riproduttiva dal cancro.
Di questo si è parlato oggi a Bologna in uno degli incontri organizzati nell’ambito della prima Giornata nazionale della fertilità, una tavola rotonda con l’intervento di Carmine Pinto, presidente Aiom e direttore di Oncologia medica dell’Irccs di Reggio Emilia. La città emiliana è uno dei 4 centri capofila dell’evento, insieme a Roma, Catania e Padova dove si terranno altri dibattiti. “Il periodo finestra tra il momento in cui il paziente riceve la diagnosi di tumore e l’inizio della terapia – spiega Pinto – è l’unico spazio utile per la crioconservazione dei gameti, cioè il loro congelamento e conservazione a bassissime temperature. Le principali tecniche di preservazione della fertilità nella donna sono costituite dalla crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico e dall’utilizzo di farmaci (analoghi LH-RH) per proteggere le ovaie”, mentre “nell’uomo dalla crioconservazione del seme o del tessuto testicolare”.
Il materiale biologico può rimanere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. “Le strutture sanitarie devono implementare e integrare al loro interno sia le competenze oncologiche che di medicina della riproduzione – ammonisce Pinto – e queste conoscenze devono essere presenti in tutte le regioni del nostro Paese, con professionalità e tecnologie adeguate”. Il modello organizzativo auspicabile, come evidenziato nelle Raccomandazioni sull’oncofertilità stilate da Aiom, Sie (Società italiana di endocrinologia) e Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia) – ricorda una nota degli oncologi medici – è rappresentato dalla Rete dei centri di oncofertilità, in grado di applicare queste tecniche con informazioni costantemente implementate. Alla definizione delle Reti deve accompagnarsi una diffusa formazione di tutti professionisti che intervengono sul paziente oncologico.
“In ogni regione – ribadisce il presidente Aiom – dovrebbero essere presenti centri di riferimento identificati per requisiti di competenza, qualità e tecnologie disponibili collegati in rete con tutte le strutture oncologiche. In questo modo sarà più semplice la scelta della struttura, sia per gli oncologi che devono mettersi rapidamente in contatto con i medici della riproduzione, sia per i pazienti che possono disporre di maggiori strumenti decisionali in un momento della loro vita in cui, nei tempi più brevi possibili, devono operare scelte fondamentali per il loro futuro. I centri per l’oncofertilità – conclude Pinto – devono quindi essere non solo vicini all’utenza in modo che la procedura non ritardi l’inizio delle terapie, ma anche validati per tecnologie e professionalità disponibili”.