Sanità: cosa cambia con il referendum, sì e no a confronto

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Il sì o il no al referendum costituzionale ha effetto anche sulla Salute. Uno dei quesiti su cui sono chiamati a pronunciarsi gli italiani il 4 dicembre modifica l’articolo 117 che sancisce il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, affidando al primo competenza esclusiva sulla tutela della Salute e politiche sociali, alle seconde l’organizzazione dei servizi. Cosa potrebbe cambiare, dunque, per il sistema sanitario nazionale? Su questa domanda si sono confrontati medici, politici e industria del farmaco all’evento ‘Riforma Costituzionale e Salute: possibili scenari nazionali e regionali’, promosso da Roche con il patrocinio di Farmindustria e dell’Osservatorio nazionale sulla Salute delle Regioni, ieri nella Sala della Camera di commercio del Tempio di Adriano a Roma. Al centro della discussione le possibili conseguenze dell’abrogazione della legislazione concorrente tra Stato e Regioni, gli impatti della cosiddetta ‘clausola di supremazia’ e i potenziali cambiamenti negli assetti organizzativi regionali e nazionali, ma anche la mobilità interregionale per motivi di cura, l’accesso alle terapie, liste d’attesa e i Lea.

Attualmente, ha esordito Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, la sanità italiana “è a pezzi, ovvero divisa in tanti sistemi sanitari diversi. Bisogna trovare il modo di ricucire“. L’obiettivo della prima riforma che ha modificato il titolo V, nel 2001, era avvicinare i servizi ai cittadini, ma il modello ha riprodotto e moltiplicato nelle varie realtà i difetti del precedente sistema. La nuova riforma va nella direzione di una maggiore responsabilità, a fronte dello scaricabarile sul mancato rispetto dei Livelli essenziali di assistenza a cui assistiamo oggi tra Regione e Governo”. “Prima del 2001 – ha sottolineato Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità e dell’Osservatorio nazionale sulla Salute delle Regioni – l’aspettativa di vita in Italia era abbastanza omogenea, oggi nascere in Campania o Sicilia significa avere un’aspettativa di vita di 4 anni di meno: praticamente in 15 anni hanno perso tutto il guadagno maturato dal secondo dopoguerra. Così i cittadini del Sud – prosegue – sono beffati tre volte: pagano di più, hanno meno servizi e sono costretti a emigrare per curarsi“.

La riforma costituzionale potrebbe servire a correggere questo quadro: “Riportando la competenza della Salute allo Stato – spiega – quest’ultimo può intervenire non sulle realtà che funzionano, ma in quelle regioni dove vivono 34 milioni di italiani privi di servizi, come gli screening oncologici, l’assistenza domiciliare, la terapia del dolore“. Con la riforma costituzionale, secondo Federico Gelli, responsabile Sanità del Pd, “diamo la possibilità a tutti di avere stessi diritti e tutele, da Nord a Sud. Le palesi ingiustizie che vediamo verranno meno perché lo Stato riassume la potestà e le competenze per intervenire a fianco di Regioni che in questi anni non c’e’ l’hanno fatta“. A spiegare le ragioni del no è stato Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, scettico sulla che la riforma possa ricomporre le diseguaglianze del Ssn a causa “della dichiarata assegnazione alle Regioni dell’organizzazione dei servizi in un settore, come quello sanitario, dove programmazione e organizzazione sono tutto“.

Come azienda molto impegnata a fianco dei pazienti, dei clinici e delle istituzioni, promuovere un dibattito sulla riforma costituzionale, che dia spazio in egual misura alle ragioni favorevoli e contrarie alla riforma, è un ulteriore modo per rafforzare il diretto dialogo tra e con tutti gli attori del sistema Salute – ha commentato Maurizio de Cicco, presidente e amministratore delegato di Roche Spa – Un evento per approfondire le dinamiche istituzionali e organizzative connesse alla Salute, diritto primario della persona e che possa quindi contribuire a un voto più consapevole, valorizzando nel contempo il ruolo del settore farmaceutico, quale parte integrante e fondamentale del comparto sanitario“.

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