Si trova ad una distanza di 6500 anni luce dalla Terra nella costellazione del Toro, nel Medioevo la sua stella originaria ha stuzzicato l’interesse degli astronomi ed è classificata nei cataloghi astronomici come Messier 1 o NGC 1952. Dietro queste aride sigle alfanumeriche si cela un noto oggetto celeste che non smette di stupire la comunità scientifica e gli appassionati: la ‘Nebulosa del Granchio’ (Crab Nebula).
E’ stata l’ACS (Advanced Camera for Surveys) del telescopio NASA-ESA Hubble a immortalare la nebulosa, la cui effigie si presenta qui nei toni del verde. Si tratta del colore del filtroutilizzato durante le osservazioni che, quasi a voler celebrare l’imminente ricorrenza di Halloween, ha conferito al soggetto un fascino un po’ inquietante.
Ma il bagliore arcano di una stella che tanti secoli fa è giunta al termine della sua vita, esplodendo come una supernova e dando origine appunto al ‘Granchio’, non deve trarre in inganno: nelle pieghe della nebulosa si nasconde, infatti, il nucleo dell’astro originario che ancora tiene il ritmo con rigorosa precisione.
Avanzo di quello che in un remoto passato doveva essere un oggetto celeste dai parametri considerevoli, il ‘cuore’ – foto in alto, l’entità luminosa visibile nel centro – è una stella di neutroni. Caratterizzata da un diametro di pochi chilometri e da una notevole densità, questa entità ruota 30 volte al secondo e in questo suo volteggiare selvaggio produce un intenso campo magnetico. Questa vigorosa attività scatena delle onde simili a ciuffi che formano una sorta di anello, visibile sulla destra della stella.
Le osservazioni più antiche della supernova all’origine della ‘Nebulosa del Granchio’ risalgono al Medioevo, precisamente al 1054 quando gli astronomi cinesi notarono una stella talmente luminosa – anche più di Venere – da poter essere vista persino di giorno.
Il fenomeno – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – non sfuggì agli occhi di altri spettatori: è rimasta traccia, infatti, di osservazioni compiute da arabi, giapponesi e nativi americani.
Giungendo in tempi più moderni, nel 1758 l’astronomo francese Charles Messier, mentre era a ‘caccia’ di comete, scoprì una nebulosa vicino alla posizione dell’antica supernova, la aggiunse ai suoi “Catalogues des nébuleuses et des amas d’étoiles” con il codice Messier 1 e la definì una ‘falsa cometa’. L’altro codice con cui è classificato il ‘Granchio’, NGC 1952, si deve invece all’astronomo danese Johann Dreyer, autore del “New General Catalogue of Nebulae and Star Cluster”.
L’associazione della forma della nebulosa al granchio è opera dell’astronomo inglese William Parsons, attivo circa un secolo dopo Messier, che aveva realizzato degli schizzi dell’enigmatico oggetto celeste.
E infine a proporre – nel 1928 – di mettere in relazione la ‘Nebulosa del Granchio’ con la stella luminosissima osservata dai cinesi nel 1054 fu l’astronomo statunitense da cui il telescopio Hubble ha mutuato il nome: Edwin Hubble.