L’analfabetismo di ieri e quello di oggi: riflessioni su tecnologia e società

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Fino a non moltissimo tempo fa la maggior parte della popolazione era analfabeta. Ciò nonostante si scrivevano e si stampavano tanti libri. Il problema non fu mai di chi sapeva scrivere (anche se faceva parte di una esigua minoranza), ma è sempre stato solo di chi, pur facendo parte della maggioranza, non sapeva leggere. L’istruzione fu una delle basi dello sviluppo intellettuale e sociale. L’equivalente di ciò che nel passato fu l’alfabetizzazione, è oggi la capacità di accesso e di utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Le attività umane sono oggi strettamente correlate all’informazione ed ai processi di comunicazione, da cui dipendano in misura sempre più rilevante e la carta, da millenni strumento principale per tramandare la conoscenza, ha ceduto il passo a supporti informatici di vario genere o a sistemi immateriali come il cloud; l’informazione aggiornata è passata dalla carta alla TV e successivamente al web; i rapporti con la Pubblica Amministrazione avvengono attraverso procedure telematiche. Ciò nonostante capita tuttora di scoprire gente cui  l’innovazione pare non la riguardi. Probabilmente la stessa che venticinque anni fa asseriva che il telefonino era roba per esibizionisti. Ricordo un mio amico, direttore di banca che, nell’anno 2000,  alla mia domanda se navigasse in Internet, mi disse che lui non aveva tempo per giocare.

Il rigetto della tecnologie da parte di tanti è dovuto allo stress generato dal dover sostituire abitudini consolidate con procedure di cui si ha la percezione di non avere il controllo e con cui non si alcuna dimestichezza. E’ il solo motivo per cui ancora qualcuno continua a comprare i quotidiani in edicola.

Esempi singolari, quanto indicativi di una errata interpretazione dell’argomento, o della ricerca di una improbabile giustificazione della propria inadeguatezza, sono quello del direttore di una scuola privata cui era stato proposto un servizio on line per le  iscrizioni ai corsi e che, nel rifiutarlo, ci tenne a precisare al suo interlocutore “noi siamo ancora per il rapporto umano”; un altro esempio è quello del professionista che non riesce ad interloquire per via telematica con la pubblica amministrazione e che rimpiange i tempi della fila allo sportello!

Se una certa refrattarietà all’uso della tecnologia potrebbe essere comprensibile per un ottantenne (tuttavia conosco una persona di 102 anni che naviga sul web ed usa regolarmente le email), lo è decisamente meno per un cinquantenne; non lo è poi affatto per gente ancor più giovane. Chi oggi non si rende conto come certi strumenti non rappresentino una semplice opzione, perde di sicuro delle opportunità.

Ma se lo stesso soggetto continua a pensare che le innovazioni tecnologiche che si susseguono giorno dopo giorno siano cose che non lo riguardano, o di cui, comunque, potrebbe farne tranquillamente a meno, probabilmente non si limiterebbe  solo a perdere delle opportunità, ma si candiderebbe a recitare  il ruolo di chi, nel passato, era un analfabeta.

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