La questione dell’uranio impoverito, e in particolare l’eventualità molto concreta che abbia potuto causare l’insorgenza di tumori, diffusi soprattutto tra i soldati entrati in contatto con munizioni e corazzature che lo contengono, sono un tema delicato e quanto mai controverso ormai da diverso tempo. Fare ordine all’interno di questa questione non è semplice, ma chiarirsi le idee e capire quali e di chi sono le eventuali responsabilità della morte di decine militari, è fondamentale e doveroso.
Ma andiamo con ordine partendo dal semplice nozionismo. Come si legge su Wikipedia: “L’uranio impoverito è lo scarto del procedimento di arricchimento dell’uranio. Da 12 kg di uranio naturale si ottengono all’incirca 1 kg di uranio arricchito al 5% di 235U e 11 kg di uranio impoverito. Quasi tutto (circa il 95%) l’uranio impoverito è conservato sotto forma di esafluoruro di uranio (UF6), in cilindri stoccati all’aperto, per evitare il pericolo di accumulo di acido fluoridrico in caso di incidenti“. Nel ciclo del combustibile nucleare, partendo dall’uranio purificato, si ottengono il combustibile arricchito ed una ingente quantità di uranio impoverito di scarto. Dopo l’uso in reattori, si ottiene il “combustibile esausto” che è radioattivo e tossico, presentando così problemi di trattamento e smaltimento. L’uranio impoverito e il “combustibile esausto” sono dunque due elementi ben distinti e separati. Oltre che per utilizzi civili, l’uranio impoverito viene usato nelle munizioni anticarro e nelle corazzature di alcuni sistemi d’arma. Si tratta di un elemento molto resistente e duro, sopratTutto se adeguatamente legato e trattato ad alte temperature, esattamente come il tungsteno monocristallino, che però è più costoso.
Le munizioni ottenute con l’uranio impoverito si definiscono, nella terminologia militare, API (Armor Piercing Incendiary), ovvero munizioni perforanti incendiarie. Basti pensare che “circa 300 tonnellate di uranio impoverito sono state esplose durante la prima guerra del Golfo, principalmente dai cannoni GAU-8 Avenger da 30 mm degli Aerei da attacco al suolo A-10 Thunderbolt, ogni proiettile dei quali conteneva 272 grammi di uranio impoverito. L’uranio impoverito è stato usato anche in Bosnia-Erzegovina, nella guerra del Kosovo e nella Operazione Enduring Freedom, in misura minore“. Quando una munizione all’uranio arriva sull’obiettivo designato, o quando un mezzo, come un carro armato con corazzatura all’uranio, prende fuoco, il materiale in questione brucia e si “spezzetta” in piccolissime particelle. La dimensione ridotta fa sì che queste possano essere inalate o ingerite.
La pericolosità dell’uranio impoverito, dunque, è da valutare su due diversi livelli: se direttamente inalato, ingerito, o posto a contatto di ferite, e poi la sua radioattività sul lungo periodo. La sua tossicità “chimica”, simile a quella di piombo e tungsteno, è la fonte di rischio più alta a breve termine e può causare intossicazione acuta, mentre non è escluso che anche la radioattività possa causare problemi clinici nel lungo periodo, soprattutto dopo un’esposizione protratta nel tempo. Diane Stearns, biochimico presso la Northern Arizona University, ha stabilito, in seguito ad uno studio approfondito, che le cellule animali esposte al sale di uranio solubile in acqua possono subire mutazioni genetiche che portano a tumori e altre patologie, a prescindere dalla radioattività dell’elemento in questione. I principali danni dovuti all’uranio impoverito possono interessare i reni, il pancreas, lo stomaco e l’intestino.
Nel corso dell’ultimo ventennio molti militari che sono stati in missione all’estero si sono ammalati di quella che è stata definita “sindrome dei Balcani“, ovvero una lunga serie di malattie, soprattutto linfomi di Hodgkin e altre forme di tumori. Il primo caso in Italia è quello del 1999 quando Salvatore Vacca, soldato originario di Cagliari, morì di leucemia dopo aver preso parte alla missione in Bosnia-Erzegovina. In seguito i soldati malati furono centinaia e decine i morti. Numeri che fanno pensare come non possa trattarsi di una coincidenza, benché l’esistenza di una connessione reale tra l’esposizione all’uranio impoverito e queste malattie non sia ancora stata dimostrata e non esiste nemmeno un trattato ufficiale che vieti e bandisca le armi all’uranio impoverito.
Ed è di luglio la proposta di una nuova legge che imputi “All’Inail, e non più al ministero della Difesa, la competenza su malattie e morti di militari per esposizione all’uranio impoverito“. La proposta è giunta dalla quarta commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito presentata alla Camera. “Vogliamo rendere finalmente giustizia ai militari malati – ha dichiarato il presidente Gian Piero Scanu – e restituire credibilità alle istituzioni. Non c’è più tempo da perdere. Questa proposta deve immancabilmente diventare legge in questa legislatura“. “Di fronte a questi drammi – ha spiegato Scanu – la Commissione ha scelto di non dilungarsi in diatribe scientifiche, ma di concentrarsi nella ricerca di soluzioni concrete, perché mentre gli esperti dibattevano di nesso causale, la gente moriva. Si è parlato tanto di specificità delle Forze armate. Sinora ha voluto dire che la vita dei militari valeva meno di quella degli altri lavoratori. Per noi significa invece che maggiori sono i rischi, più rigorosa deve essere la prevenzione“. “Troppo a lungo – ha aggiunto il presidente – i militari (compresi i carabinieri, che sono quarta forza armata) hanno vissuto una condizione di minorità rispetto agli altri lavoratori. Noi proponiamo di superare l’anacronistica separatezza della giurisdizione della Difesa, portando anche le Forze armate nell’ambito della gestione dell’Inail, organo competente, terzo e autonomo. Non ci possono più essere zone franche. Non ci possono più essere controllati che controllano i controllori. Non ci può più essere un aut aut tra diritto al lavoro e diritto alla salute“.
Nei tribunali, intanto, continuano ad aumentare i ricorsi accolti delle vittime di tumori che si erano viste negare gli indennizzi dallo Stato, ma a puntare il dito contro il Ministero della difesa è stato soprattutto il Tribunale amministrativo del Lazio, con una sentenza a favore di un caporal maggiore, arruolatosi nel 1999 e congedato nel 2010, dopo essere stato colpito da un linfoma di Hodgkin. Nel corso degli anni sono stati molti i militari malati e le famiglie dei soldati morti, che hanno cercato di far luce su eventuali responsabilità chiedendo giustizia. E a ridare un po’ di speranza sta intervenendo ora il Tar. I giudici, infatti, hanno stabilito che deve essere la Difesa a dimostrare che i tumori non sono stati causati dall’uranio impoverito e non le vittime a provare il contrario, come è accaduto fino ad ora. Allo stato attuale si contano 47 sentenze di condanna in tutta Italia nei confronti del Ministero. I giudici hanno riconosciuto il nesso di causalità fra la malattia che ha colpito i militari e la loro esposizione all’uranio impoverito nel corso delle missioni. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, benché fino a questo momento siano diversi i militari che hanno ottenuto risarcimenti, anche grazie all’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, che da anni si batte affinché venga fatta giustizia, la strada da percorrere è ancora tanta.