Diagnosi mirata sulla lesione, minor numero di prelievi, individuazione delle aree sospette all’interno della ghiandola, percorso diagnostico più accurato, minori costi per il Servizio sanitario, anche alla prima biopsia, quindi al primo sospetto di tumore prostatico. Questi i vantaggi della Target Biopsy, una metodica basata sulla Risonanza Magnetica Prostatica, oggetto dello studio appena pubblicato dalla più importante rivista scientifica di settore al mondo, ‘European Urology‘, elaborato dal professor Francesco Porpiglia, ordinario di Urologia del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, Ospedale San Luigi Gonzaga. Il cancro della prostata ha un’incidenza di circa 200 casi per 100.000 abitanti: in Italia è la seconda neoplasia più diffusa dopo il tumore del polmone, ma diviene la prima nella popolazione con età superiore ai 70 anni. Ogni anno in Italia ne vengono diagnosticati 40.000 nuovi casi.
La biopsia prostatica “standard”, unico metodo usato oggi per la diagnosi del carcinoma della prostata, (in Italia circa 200.000/anno, negli Usa 1.000.000/anno) prevede il campionamento della ghiandola attraverso 12 prelievi, a cui se ne possono aggiungere altri 32 in caso di persistente sospetto di tumore dopo biopsia negativa. L’incertezza diagnostica, il rischio di sviluppare complicanze ad ogni prelievo bioptico, i costi per il sistema sanitario nazionale di prelievi ripetuti sono i limiti di questa metodologia. In questo scenario l’avvento della Risonanza Magnetica Prostatica rappresenta senza dubbio una svolta nella diagnosi del tumore alla prostata, poiché consente finalmente di identificare l’eventuale presenza di aree sospette per tumore all’interno della ghiandola, rendendo possibile l’esecuzione di biopsie mirate e riducendo il numero di prelievi inutili. È questa la cosiddetta Target Biopsy, mirata sulla lesione, che viene eseguita mediante la sovrapposizione dell’immagine ecografica con quella della risonanza magnetica in tempo reale con le tecniche di fusione di immagini.
Pochi centri hanno utilizzato questa tecnologia al primo sospetto clinico di tumore prostatico e quindi alla prima biopsia: finora tale approccio è stato usato solo dopo una prima biopsia negativa.La ricerca del team del professor Porpiglia, prima al mondo nel suo genere, ha coinvolto 212 uomini al primo sospetto di carcinoma prostatico e mai sottoposti a biopsia: i pazienti sono stati suddivisi mediante schema “random” in due gruppi, il primo gruppo è stato sottoposto a risonanza magnetica e target biopsy mediante sistema di fusione di immagini, il secondo a biopsia standard. I risultati dimostrano una maggiore diagnosi di tumori con un numero inferiore di prelievi nel gruppo in cui è stata utilizzata la risonanza magnetica (50.5%) rispetto al secondo gruppo (29.5%), il che si traduce in una diagnosi più accurata, meno biopsie, meno rischi per il paziente, e in una riduzione dei costi per il sistema sanitario. Lo studio è stato sviluppato da una rete multidisciplinare delle realtà dell’Università e del territorio con maggiore esperienza nella diagnostica del carcinoma prostatico, che coinvolge le Radiologie universitarie della Città della Salute diretta dal professor G. Gandini e dell’AOU San Luigi di Orbassano (A. Veltri) e quelle dell’IRCCS di Candiolo (D. Regge) e dell’AO Mauriziano di Torino (S. Cirillo) nonché la Struttura di Anatomia Patologica dell’AOU San Luigi (M. Volante).
“I risultati di questo studio supportano l’uso della target biopsy mediante “fusione” di immagini anche al primo sospetto diagnostico di carcinoma e sono la testimonianza dell’efficacia del modello di ‘rete’ – spiega il professor Francesco Porpiglia – che vede la stretta collaborazione fra urologi, radiologi e anatomopatologi, che collaborano in modo scientifico e secondo step definiti. Tale modello, potenzialmente, può essere riprodotto ed esportato, con l’obiettivo di ottenere una rete di radiologi ‘esperti’ nella diagnostica del carcinoma prostatico in continuo dialogo con urologi e anatomopatologi, al fine di migliorare la qualità del percorso diagnostico, a vantaggio dei sempre più numerosi pazienti. Questo nuovo percorso diagnostico e le imminenti innovazioni tecnologiche in questo ambito – prosegue il professor Porpiglia – oltre a migliorare la qualità della diagnosi contribuiranno a meglio definire la strategia terapeutica” .