Tristezza, perdita dell’autostima e degli interessi, stanchezza ingiustificata, voglia di morire. Sono tra i sintomi della depressione che colpisce ogni anno tra il 5% e il 15% della popolazione. Un terzo dei pazienti non trae beneficio da un trattamento farmacologico iniziale e ancor meno nelle successive ricadute. Ma “oggi esiste una speranza di cura per questi pazienti“, afferma Paolo Maria Rossini, direttore dell’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica e membro della Società italiana di neurologia. La Sin lancia un appello al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, per inserire la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rSTM) fra le pratiche autorizzate dal Ssn presso strutture pubbliche o private accreditate. “Numerosi studi scientifici hanno dimostrato negli anni l’efficacia della stimolazione magnetica transcranica ripetitiva nel trattamento delle forme farmaco-resistenti di depressione maggiore: circa un paziente su 2 ha beneficiato di una riduzione dei sintomi del 50% o più, mentre uno su 3 è andato incontro a remissione clinica“, dice Rossini.
Si tratta di un trattamento per la cura della depressione ormai approvato da alcune delle più importanti associazioni scientifiche internazionali, che in Paesi come Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Israele e in alcuni Stati della Comunità europea viene comunemente erogato dal sistema sanitario nazionale ed è rimborsato dalle assicurazioni. In Italia la rTMS, ricorda la Sin, viene ancora effettuata esclusivamente in strutture private e spesso da personale non specializzato. Per consentire ai pazienti di trovare risposte adeguate in centri qualificati e adeguatamente aggiornati, la Società italiana di neurologia si è appellata al ministro Lorenzin, in una lettera a firma del presidente Leandro Provinciali. La rSTM prevede l’erogazione di impulsi ripetitivi di un campo magnetico che, con una forza paragonabile al campo magnetico che viene applicato durante l’esecuzione di un esame di risonanza magnetica, passa senza ostacoli attraverso il cranio e stimola il tessuto cerebrale sottostante, inducendo una corrente elettrica in grado di depolarizzare le cellule neuronali e modificarne l’eccitabilità e, pertanto, l’attività.
“Si tratta – ricordano gli esperti – di una tecnica non invasiva, indolore, relativamente senza rischi e solitamente ben tollerata; inoltre, a differenza della terapia elettroconvulsiva (il ben noto elettroshock), non necessita né di anestesia generale né di alcuna protezione o profilassi farmacologica, al punto da poter essere effettuata a livello ambulatoriale. Inoltre, non produce gli effetti indesiderati a lungo-termine indotti dall’elettroshock, di cui rappresenta il definitivo superamento”. “Lo schema terapeutico da noi proposto – precisa Gianluigi Gigli, membro della Sin – è quello di 15-20 sedute complessive, distribuite su 3-4 settimane di trattamento a seconda della gravità, ciascuna della durata di circa un’ora. Il trattamento deve essere realizzato esclusivamente in strutture del Ssn e da parte di personale sanitario esperto nell’utilizzo di apparati che erogano stimoli elettromagnetici. I pazienti candidati devono essere selezionati da specialisti psichiatri sulla base dei parametri di inclusione/esclusione dettati dalle Linee guida internazionali“. Il costo complessivo della cura nel suo ciclo completo ammonta a circa 1.500-2.000 euro (100 euro a seduta) “che, se comparato con il costo degli psicofarmaci e la perdita di funzioni sofferta da questi pazienti, appare contenuto a fronte dell’efficacia immediata e della sua durata nel tempo: in genere circa 6 mesi con eventuali necessità di brevi cicli di richiamo“, conclude Gigli.