Giorno dopo giorno siamo tutti sempre più ossessionati dai Social Network, ma quello che di più fa riflettere è guardare i contenuti con spirito critico: Eh sì non rispecchiano fatto la vita reale nostra e dei nostri amici. Certo, magari le giornate di qualcuno sono realmente fatte di pochi pensieri, mare, jogging e feste (“la tua vita vorrei”, direbbe qualcuno); tuttavia si può tranquillamente affermare che all’interno dei profili dei social media, la tendenza è quella di escludere la maggior parte della giornata. Tutte le persone hanno dei problemi che generalmente tengono fuori dai propri profili social, alcuni per riservatezza e discrezione, altri perché credono che i loro problemi non interessino gli altri, altri ancora perché non fanno like. Così facendo si crea una sorta di bolla all’interno della quale posizioniamo i nostri momenti più felici, sui social, che sta dilagando come “positivity bubble“, che ha un unico modo di definirsi: sui social è tutto bello.
Facebook e Instagram sono pieni di foto di feste, serate, vacanze e persone che lavorano con il sorriso, su Twitter ogni utente dimostra un’arguzia stupefacente e così via. Si tende a dividere sempre più la vita in due parti, quella social e quella reale, quella bella e quella brutta, quella fatta di feste e divertimento e quella fatta di bollette e delusioni. La “social media addiction” è una malattia vera e propria, e non ci si scherza: più che alla singola app, quello che provoca dipendenza è la rete stessa, il network, in una spirale che porta alla cosiddetta FoMO (Fear Of Missing Out). Cos’è la FoMO? In breve: sono tutti su Facebook, se non ci fossi sarei escluso dalle conversazioni e inizierei a non capire più le battute che fanno i miei amici.