Weekend di paura tra Italia, Grecia e Turchia per le forti scosse di terremoto che tra ieri e stamattina hanno colpito il Mediterraneo centro/orientale, nella zona a più alto rischio sismico di tutta l’area Euro-Africana. Le prime forti scosse sono state quelle di ieri mattina presto, tra la Turchia occidentale e l’isola di Creta, rispettivamente di magnitudo 4.1 e 4.5, seguite poi a metà mattinata da una scossa di magnitudo 5.3 nel mar Nero. Poi ieri sera alle 22:14 la forte scossa, sempre di magnitudo 5.3, nel nord della Grecia, distintamente avvertita al Sud Italia e soprattutto in Puglia. Stamattina altre scosse sull’Italia, la più forte di magnitudo 4.1 alle 11:32. Lievi danni in Grecia per la scossa di ieri sera, con crepe nelle strade e qualche piccolo crollo.
Questa scossa è avvenuta al centro dell’area attiva dal 24 agosto; si può considerare quindi a tutti gli effetti di una replica (o aftershock) dell’evento principale di magnitudo 6. Come si può notare dall’attività sismica delle ultime settimane, la sequenza sismica non si era esaurita ma continuava a produrre molti terremoti che negli ultimi 40 giorni non avevano raggiunto magnitudo 4. Quello di oggi (M4.1) è infatti il più forte aftershock dal 3 settembre, quando un evento di magnitudo 4.3 aveva interessato il settore settentrionale dell’area colpita dalla sequenza, in provincia di Macerata.
La zona tra Italia, Grecia e Turchia è quella a più alto rischio sismico dell’area Euro-Africana. E proprio in questa zona si sono verificati i più forti maremoti della storia. Infatti un team di ricercatori europei ha realizzato negli scorsi anni una mappa del rischio tsunami in tutta Europa, utilizzando testimonianze storiche prese da libri e cronache antiche. Da questa mappa emerge un quadro preoccupante: ad essere maggiormente esposte sono le coste della Grecia e quelle dell’Italia, specialmente quelle calabro- siciliane, colpite in passato dal maggior numero di maremoti. Sono esposti al rischio anche i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente che si affacciano sul Mediterraneo, oltre alle coste del Portogallo e della Spagna meridionale, sia quelle atlantiche che quelle mediterranee.
La maggior parte dei maremoti si verifica a seguito di scosse sismiche molto potenti che avvengono al di sotto di fondali marini profondi. Queste caratteristiche sono presenti in tutto il settore meridionale del Mediterraneo fino all’Atlantico, dove le profondità del fondale sono alte e dove la placca tettonica africana “si scontra” con quella europea creando quindi una zona altamente sismica.
A provocare i maremoti però non sono soltanto le scosse sismiche. Alcuni dei maremoti più disastrosi che hanno colpito le coste mediterranee sono stati prodotti infatti da frane o esplosioni vulcaniche sottomarine. Intorno al 1600 a.C. ad esempio, l’esplosione e il successivo collasso del vulcano Santorini, nel Mar Egeo, provocò uno tsunami con onde che raggiunsero decine di metri di altezza investendo e devastando tutte le coste del Mediterraneo orientale. Sarebbe stato proprio questo evento distruttivo, secondo alcune teorie, a causare l’improvvisa scomparsa della civiltà Minoica a Creta.
Anche il 28 dicembre 1908, in seguito al fortissimo terremoto che sconvolse Messina e Reggio Calabria, ci fu un maremoto. Le onde però non furono provocate dal violentissimo sisma bensì da una enorme frana sottomarina staccatasi a causa delle scosse. Alle migliaia di morti rimasti schiacciati dalle macerie, si aggiunsero quelli causati dall’arrivo dello tsunami, che raggiunse altezze di 13 metri sulle coste calabre. Il bilancio finale fu di oltre centomila morti. Il 6 febbraio 1783, nella stessa zona, era avvenuto un fatto simile: a Scilla, a seguito di un forte terremoto, si staccò una enorme frana che produsse onde anomale alte fino a 9 metri. I morti furono millecinquecento.
Anche nel 2002 ci fu un evento del genere a Stromboli, quando un’ enorme frana si staccò dal versante del vulcano precipitando in mare: l’onda anomala prodotto dallo spostamento dell’acqua investì il porto facendo molti danni e alcune abitazioni furono distrutte. Gli abitanti riuscirono a salvarsi.
Altri tsunami in Italia sono avvenuti nei secoli passati nel Gargano, in Liguria, nelle Marche. Il lavoro di ricostruzione di questi eventi è stato fatto da una equipe di ricercatori italiani che sono risaliti indietro nel tempo attraverso documenti storici, creando una mappa delle zone colpite. In queste zone ci si deve aspettare nel futuro nuovi eventi, e prepararsi per prevenire i danni.
A destare preoccupazione non sono soltanto i terremoti sottomarini, ma anche frane sottomarine o esplosioni vulcaniche, tutti eventi molto probabili al largo delle nostre coste. Nel Tirreno meridionale sono infatti presenti numerosi vulcani sottomarini, come il Marsili, una cui eruzione potrebbe innescare frane e conseguentemente causare onde anomale. Desta inoltre preoccupazione la zona dell’Etna, dove già in passato si sono verificate mega-frane sottomarine: un gruppo di geologi ha scoperto che ottomila anni fa una enorme frana si staccò dal fianco orientale del vulcano siciliano producendo uno tsunami enorme che colpì buona parte del bacino Mediterraneo.
Di fronte a questo diffuso rischio però, quali sono le misure di salvaguardia per la popolazione? Purtroppo né in Italia né negli altri Paesi europei è presente un sistema di allerta come quello presente nell’Oceano Pacifico. Si è visto recentemente come il Cile sia ben preparato all’eventualità dell’arrivo di onde di maremoto, ed anche il Giappone ha un sistema altamente collaudato di allerta (anche se la vastità dello tsunami dell’11 marzo 2011 superò ogni aspettativa).