In Italia nel 2015 i trapianti sono stati 3.326, in leggero aumento rispetto all’anno precedente. Ma sono ancora troppo pochi. Dalla nostra abbiamo i professionisti e la rete organizzativa. A remare contro “una cultura della donazione praticamente sopita e una forte resistenza nelle donazioni da vivente. Così, se si chiudessero le liste d’attesa per il trapianto, occorrerebbero tra i 2 e 3 anni per trapiantare tutti i pazienti già in lista“. E’ un ritratto con luci e ombre quello disegnato alla vigilia dell’apertura del 40esimo Congresso della Società italiana trapianti d’organo (Sito) da Franco Citterio, presidente Sito in carica fino alla fine dell’anno e al vertice della Fondazione italiana per la promozione trapianti d’organo (Fipto), e Umberto Cillo, presidente eletto Sito in carica da gennaio 2017, commentando le cifre del Centro nazionale trapianti. Gli esperti descrivono un’Italia a due velocità, dove la professionalità e l’organizzazione corrono ma le coscienze si muovono a piccoli passi. “Per la qualità dei centri e per quella dei trapianti misurabile in termini di risultati, sopravvivenza dei pazienti e qualità di vita post intervento, l’Italia può considerarsi soddisfatta – dice Citterio – ma sono ancora troppo pochi i trapianti effettuati. E questo perché manca ancora una vera cultura della donazione nel nostro Paese. E se qualcosa si è fatto in questi anni in termini di donazione da cadavere, ancora moltissimo si deve fare per quella da vivente che incontra moltissime resistenze“. “Basti guardare – prosegue – il divario numerico che c’è nel 2015 per il trapianto di rene da donatore vivente tra Italia (301) e Gb (1.075), Paese con lo stesso numero di abitanti del nostro. Quella delle donazioni è una spina nel fianco nel sistema italiano dei trapianti e per questo dobbiamo fare più educazione, più cultura della donazione a 360 gradi. Solo così l’Italia potrà crescere. Stare 1 o 2 anni in lista d’attesa è un problema enorme perché il quadro clinico del paziente spesso si aggrava, dobbiamo fare il possibile perché questo tempo si riduca al minimo. E ancora una volta, inutile dirlo, torna il discorso sulle donazioni: donatori in morte cerebrale, a cuore non battente, viventi“. “Dal punto di vista scientifico e organizzativo l’Italia non ha nulla da invidiare, anzi ha molto da insegnare a tanti Paesi nel mondo – concorda Cillo – però ci sono dei gap che dobbiamo colmare rapidamente. Prendiamo proprio i trapianti da donatore a cuore fermo: nel nostro Paese stiamo iniziando adesso. In Olanda e in altre nazioni si fanno da anni. In Italia l’accertamento della morte con criteri cardiaci prevede che, prima di poter dichiarare il decesso e quindi prelevare gli organi, per almeno 20 minuti non ci sia attività cardiaca e circolo. Fino ad oggi in Italia si è pensato che quel limite di 20 minuti fissato dal legislatore rappresentasse un punto di non ritorno che rendeva gli organi inutilizzabili“. “Oggi – precisa – abbiamo capito che possiamo rigenerare gli organi e possiamo anche gestire diversamente il potenziale donatore grazie alla circolazione extracorporea. Una soluzione messa in atto in sala operatoria nell’attesa che il legislatore si renda conto che le cose vanno riviste alla luce dell’esperienza internazionale. Perché sono molti i pazienti che hanno bisogno di un organo. Anche se per capire davvero le liste d’attesa è necessario rendersi conto che si tratta solo della punta di un iceberg. Impossibile non pensare a quanti pazienti a quelle liste neppure arrivano e per i più svariati motivi: perché muoiono prima, perché non ricevono una corretta diagnosi, perché nessuno gli prospetta come via d’uscita quella del trapianto. Si tratta dell’emerso, non del reale bisogno. Ognuno di noi può salvare una vita, anzi più vite, scegliendo di diventare donatore“. “Il Congresso – dice Pasquale Berloco, presidente del meeting Sito – si pone come sfida quella di affrontare tematiche di grande attualità: dalla donazione da vivente a quella da cuore non battente. Sarà l’occasione per confrontarci sulle nuove strade da percorrere per la conservazione e per la rigenerazione degli organi. Un Congresso che si tiene a Roma non per caso, perché è a Roma che 50 anni fa Paride Stefanini ha eseguito il primo trapianto d’organi italiano, un trapianto di rene da una donna abruzzese ad una ragazza di 17 anni. Da allora di strada ne abbiamo fatta tanta. Purtroppo non possiamo dire lo stesso per quanto riguarda le donazioni. Dobbiamo ancora fare molto“.
Trapianti: necessari 2-3 anni per operare tutti i pazienti in attesa
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