Dall’analisi degli ultimi dati sulla tubercolosi emerge che la metà dei nuovi casi interessa cittadini italiani. I cittadini stranieri più coinvolti sono quelli che provengono da Paesi ad alta endemia: dall’Africa maghrebina ed equatoriale ai Paesi dell’Est quali Romania e Moldavia. In Italia si parla di sette casi nuovi ogni 100mila abitanti. Numeri molto più bassi rispetto a Bucarest, dove si registrano 223 casi per 100mila abitanti, o rispetto ad alcuni centri africani, dove se ne contano addirittura 400 su 100mila. Ma il problema rimane comunque allarmante per gli specialisti per le intrinseche difficoltà diagnostiche della malattia.
IL CONGRESSO – Tema caldo accanto all’emergenza emigrazione, dove 800 specialisti provenienti da tutta Italia e dall’estero si sono confrontati a Baveno sul Lago Maggiore, in occasione del 15° Congresso Internazionale SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. L’appuntamento, organizzato dal Prof. Gaetano Filice, Direttore dell’Unità di Malattie Infettive del Policlinico San Matteo, Pavia, e dal Dott. Domenico Santoro, Direttore dell’Unità di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera S. Anna di Como, ha approfondito argomenti quali antibiotico-resistenza, infezione-malattia da HIV, infezione-malattia da virus epatici, malattie tropicali e parassitarie, infezioni nel paziente immuno-compromesso, infezioni nel paziente fragile, infezioni correlate all’assistenza.
TUBERCOLOSI E STRANIERI – Gli stranieri malati hanno in media un’età media tra i 20 e i 40 anni; nella maggioranza degli italiani, invece, i casi riportati riguardano ultrasessantenni. La causa della differenza d’età è semplice: l’emigrato proveniente da Paesi ad alta endemia ha un coefficiente di rischio molto più alto e tende ad ammalarsi prima, anche a causa di una qualità di vita di prassi inferiore. La malattia si trasmette in maniera aerogena, ossia per condivisione di spazi aerei con un malato.
“Nonostante i numeri non allarmanti, quello della tubercolosi è un problema considerato “strettamente attuale” – spiega il Prof. Giovanni Di Perri, infettivologo, Università degli Studi di Torino e membro del direttivo della SIMIT – per la natura stessa della malattia, in quanto molto difficile da riconoscere. I sintomi sono febbre e tosse, spossatezza e perdita di peso. Questi, in effetti, possono essere banalmente scambiati per episodi influenzali o parainfluenzali. La mancanza di una sintomatologia specifica comporta spesso una lunga serie di visite prima di essere scoperta“.
“Un malato su tre – precisa il Prof. Di Perri – può anche guarire spontaneamente dopo mesi di alternato benessere, e si possono alternare periodi di remissione spontanea ad altri di peggioramento. Questo comporta una tardiva presa di coscienza di malattia e una probabilità di diffusione che può essere elevatissima in particolari condizioni, fra le quali occorre ricordare i soggetti gravati da forme di immunodepressive di varia natura e identità“.