Tumori: la policitemia vera colpisce 1000 italiani l’anno, il futuro è nella target therapy

MeteoWeb

Una malattia dalle mille facce, difficile da raccontare per i pazienti. A seconda di come irrompe nella loro vita, c’è chi riferisce dolori, chi stanchezza generalizzata, strane febbri, pesantezza a livello dell’addome. Molti parlano di un prurito talmente fastidioso da stravolgere la quotidianità. E’ la policitemia vera, patologia del sangue poco nota al grande pubblico, dovuta a un’alterazione delle cellule del midollo osseo che porta a una proliferazione incontrollata prevalentemente dei globuli rossi. Sebbene sia difficile identificarne i numeri con precisione, le stime per l’Italia si traducono in “circa 1.000 nuovi casi l’anno”, spiega Francesco Passamonti, professore di Ematologia dell’università dell’Insubria di Varese, oggi a Rimini dove è in corso il XIV Congresso nazionale della Società italiana di ematologia sperimentale (Sies), nell’ambito del quale un simposio scientifico è stato dedicato proprio alle malattie mieloproliferative croniche.

Solo dal 2008 la policitemia vera è stata classificata come tumore cronico “proprio a seguito della scoperta della prima mutazione specifica ricorrente in questa famiglia di malattie che è la mutazione del gene Jak2”, spiega Alessandro Maria Vannucchi, professore associato di Ematologia dell’università degli Studi di Firenze. “Dal momento che siamo in grado di fare diagnosi più precoce e che la sopravvivenza dei pazienti si è allungata, la prevalenza della malattia sta aumentando e anche l’età dei pazienti si sta abbassando. Se l’insorgenza è in genere tra i 50 e i 60 anni, oggi vediamo molti malati intorno ai 40 anni e abbiamo anche persone più giovani e rari casi, ben descritti, pediatrici”, dice Vannucchi.

Un tallone d’achille importante è il rischio trombosi. “Circa il 20-30% dei malati che hanno la policitemia possono avere delle trombosi sia arteriose sia venose, eventi che rendono conto di circa il 40% della loro mortalità”, fa presente Tiziano Barbui, professore di Ematologia e direttore scientifico della Fondazione per la ricerca ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Specialisti e scienziati si concentrano ora sui bisogni senza risposta. “Chi appartiene alla categoria di alto rischio vascolare riceve un farmaco che si chiama idrossiurea, considerato la prima linea a livello internazionale, ma c’è una coorte di malati – circa il 10-15% – che sviluppa intolleranza o resistenza”, precisa Passamonti. Il loro futuro è scritto “negli studi che abbiamo condotto negli ultimi 2-3 anni su una target therapy, ruxolitinib, che ha già l’indicazione negli Stati Uniti e in Europa e pensiamo che possa essere a breve disponibile anche per i pazienti italiani”.

Condividi