“Chi fa attività fisica, a livello agonistico o amatoriale, ha un rischio 2 – 3 volte superiore di contrarre una malattia infettiva rispetto alla popolazione generale“. A riportarlo è il direttore dell’Istituto di medicina e scienza dello sport del Coni, Antonio Spataro, nel corso della presentazione della Giornata nazionale delle vaccinazioni, evento promosso dalla Federazione italiana associazioni e società scientifiche dell’area pediatrica in collaborazione con il Comitato olimpico nazionale italiano, il ministero dell’Istruzione, università e ricerca, il ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità e la Croce rossa. “L’atleta, dopo un allenamento intensivo, subisce un forte calo dell’attività del sistema immunitario – continua Spataro – ed è quindi maggiormente esposto alle infezioni. Questo fenomeno, in letteratura, viene definito ‘Open windows’ e dura dalle 3 alle 72 ore dopo lo sforzo, deriva dal rapporto con il livello di immunità del soggetto e con l’entità dello sforzo. Per questo la vaccinazione è un mezzo di prevenzione necessario, non solo nella popolazione, ma soprattutto negli atleti – sottolinea – Per tutelarne la prestazione atletica perché un atleta sano è più facile che vinca“. Il direttore dell’Istituto di medicina e scienza dello sport ha fatto riferimento anche alla vicenda della campionessa paralimpica, Bebe Vio. La schermitrice italiana, da piccola, non ha fatto la vaccinazione perché i genitori si erano fidati di medici contrari a questa protezione e a 11 anni è andata incontro alla meningite fulminante. “Il 97% dei pazienti con questa malattia muore – puntualizza l’esperto – eppure basterebbe la vaccinazione per prevenire queste patologie. Non è solo un discorso di prevenzione collettiva, ma anche nell’ambio dello sport dove il contatto quotidiano determina una facilità maggiore al contagio“. “Le malattie che possono essere contratte in ambito sportivo sono numerose: dall’influenza al tetano, dall’epatite A e B alla polmonite pneumococcica. L’incidenza dipende da dove viene praticata l’attività sportiva e da altri fattori come il vapore acqueo delle docce, l’area condizionata delle palestre o il contatto con i tifosi“, spiega Spataro. “Tutti gli sport richiedono molta attenzione. Per esempio, i maratoneti vanno incontro a malattie respiratorie 7 volte di più rispetto alla popolazione di controllo. Sport come il judo, la lotta, il rugby o pugilato possono mettere in contatto gli atleti con il sangue e i fluidi, che sono potenziali veicoli di malattie come l’epatite B. Ci sono attività, anche apparentemente innocue come le bocce, che possono esporre a aumentato rischio di andare incontro al tetano. Anche l’inquinamento dell’acqua è portatore di tante malattie come il tifo, ciò vale ad esempio per i velisti, i nuotatori di fondo e i canonisti“. “Le vaccinazioni più utili nello sport sono quelle per prevenire malattie respiratorie, quindi antinfluenzale e l’antipneumococcica. Chi va spesso all’estero per trasferte in Paesi a rischio è consigliata la vaccinazione per l’epatite A. che si trasmette con bevande e alimenti contaminati, mentre chi fa sport che espongono al contatto con la terra o con i metalli è bene che si immunizzi contro il tetano, che deve ripetersi ogni 10 anni“.
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