Aborto: in Italia record di obiettori, si tratta di due medici su tre

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In Italia più di due medici su tre si rifiutano, per ragioni etiche, di effettuare interventi di aborto volontario. E il numero è destinato ad aumentare. La questione è tornata alla ribalta dopo le parole di Papa Francesco, che vede il nostro Paese al top in Europa per medici obiettori. Gli ultimi dati disponibili, pubblicati a novembre 2015 dal ministero della Salute nella relazione annuale al Parlamento, fotografano un’escalation impressionante negli ultimi dieci anni: al 2014 si contano il 70 per cento degli obiettori tra i ginecologi, contro il 58,7% del 2005. Tra gli anestesisti la percentuale di obiettori e’ pari al 49,3%, mentre per il personale non medico si e’ osservato un forte incremento, con valori passati dal 38,6% del 2005 al 46,5% del 2013. Si osservano notevoli variazioni tra regioni: percentuali superiori all’80% tra i ginecologi sono presenti in 8 regioni, principalmente al sud. 93.3% in Molise, 92.9% nella PA di Bolzano, 90.2% in Basilicata, 87.6% in Sicilia, 86.1% in Puglia, 81.8% in Campania, 80.7% nel Lazio e in Abruzzo. Anche per gli anestesisti i valori piu’ elevati si osservano al sud (con un massimo di 79.2% in Sicilia, 77.2% in Calabria, 76.7% in Molise e 71.6% nel Lazio).

Per il personale non medico i valori sono piu’ bassi e presentano una maggiore variabilita’, con un massimo di 89.9% in Molise e 85.2% in Sicilia. Secondo la legge 194 sull’aborto, “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art.7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita’ previste dagli articoli 5,7 e 8.” Il controllo e la garanzia che cio’ si verifichi e’ affidato alle Regioni. Comunque il personale deve ricordare che “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attivita’ ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attivita’ specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento” (art. 9 della Legge 194).

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