E’ stato celebrato oggi il 50° anniversario dell’Alluvione del 4 novembre 1966, che colpì Venezia e tutto il Veneto con vittime e distruzione. Il ricordo è un’occasione, secondo l’assessore regionale alla difesa del suolo e alla protezione civile Gianpaolo Bottacin, per svolgere una riflessione sui rischi ancora presenti e sugli interventi di difesa idraulica da allora messi in atto.
Ecco il testo dell’intervento di Bottacin, diffuso dall’ufficio stampa della Giunta regionale. “Oltre cento morti in Veneto e, tra essi, anche alcuni dei quali soccorritori. Questo il bilancio, – scrive Bottacin – solo dal punto di vista umano, dell’Alluvione del 1966 di cui ricorre quest’anno il Cinquantesimo anniversario. Da allora, e fino al 2010, poco o nulla è stato fatto per ridurre il rischio idraulico nella nostra regione. Basti pensare che l’ultima grande opera, il bacino di laminazione di Montebello, risale al lontano 1926. Ma dal 2010, come ricorda spesso l’autorevole professor D’Alpaos, con l’avvento della nuova amministrazione Zaia è cambiato totalmente l’approccio alla materia: meno asfalto e più opere di difesa del suolo“.
“E’ quindi stato messo a punto, con l’Università di Padova, – aggiunge – un piano di opere necessarie per la messa in sicurezza del nostro territorio: un piano che vale 2,7 miliardi di euro. Un piano che potrebbe essere facilmente e tempestivamente realizzato per intero se solo una piccola parte di quei 20 miliardi di residuo fiscale che il Veneto “dona” al centralismo romano rimanessero sul territorio, rimassero qui, in Veneto” “Purtroppo però, – prosegue l’assessore – non disponendo di tutte le risorse subito, abbiamo dovuto definire un ordine di priorità nelle opere da realizzare basato sull’indice di rischio. In sostanza, il metodo che ci siamo dati prevede di partire dalle opere che sono più urgenti secondo quanto, scientificamente, è stato stabilito per ogni intervento: un criterio che si basa sulla probabilità di accadimento e sulla dimensione dei danni che potrebbero essere provocati da un evento collegato all’opera da eseguire. Criteri oggettivi, dunque, che definiscono un ordine di priorità che non si basa più su scelte politiche, ma su dati scientifici. Dal 2010 sono stati perciò avviati cantieri per oltre 900 milioni di euro, 411 dei quali per consolidamenti arginali e 300 per bacini di laminazione. Attualmente, anche se a volte non è così istantaneo accorgersene in quanto spesso sono poco visibili, sono ben 414 i cantieri attivi. Oltre alla carenza di risorse, poi, spesso dobbiamo fare i conti anche con altri aspetti, ancora più inquietanti”.
Bottacin prosegue: “La Comunità Europea, quella ‘strana creatura burocratica’ che prevede che il formaggio possa essere fatto senza latte e il vino senza l’uva, è riuscita a far molto peggio anche della burocrazia romana. Si è infatti inventata la “democrazia idraulica”; quasi che l’idraulica, anziché seguire le leggi della fisica, possa seguire altre regole. L’Europa ci ha quindi imposto, con la direttiva alluvioni, interventi che devono prima essere condivisi, concertati, concordati con il territorio; come se le leggi della fisica potessero adeguarsi ad accordi politico-amministrativi. Senza dimenticare che anche a livello statale ormai siamo arrivati a livelli di burocrazia folli tali da imporci, ad esempio, che per tagliare un albero in un fiume sia necessario depositare un metro cubo di carta. Sono cosi’ nati comitati contro le opere idrauliche, formati da cittadini, certamente in buona fede ma spesso vittime inconsapevoli di logiche complesse e talvolta poco trasparenti. Comitati a volte sostenuti anche da qualche amministratore affetto dalla sindrome di Nimby. Situazioni, insomma, che hanno nel passato generato la paralisi più assoluta, soluzione molto comoda in termini elettorali e a breve termine. Noi non abbiamo nulla contro i comitati, sia chiaro, ma e’ evidente che a ogni opera contestata deve corrispondere una proposta alternativa, egualmente efficace e soprattutto adeguatamente supportata da calcoli e modelli idraulici approfonditi”.
“Dobbiamo uscire – conclude Bottacin – da quel ‘qualunquismo idraulico’ che negli ultimi anni ha condotto a proposte innumerevoli, molto spesso non adeguatamente supportate dal punto di vista tecnico, che hanno anche raccolto credito presso una parte del mondo politico, rispettabile ma non tecnicamente preparata, e presso una popolazione strumentalizzata, chiamata alla ‘guerra’ a volte senza nemmeno sapere il perché”.