Gli haitiani vanno finalmente oggi alle urne per eleggere il loro nuovo presidente nella speranza di raggiungere una maggiore stabilità politica, sulla cui base avviare la ricostruzione di uno dei paesi più poveri del mondo, flagellato dalle catastrofi naturali e dipendente dagli aiuti internazionali. Il voto è stato già rinviato quattro volte, l’ultima ai primi di ottobre quando il passaggio dell’uragano Matthew ha provocato centinaia di morti e una scia di devastazione ai danni di popolazioni già duramente provate dal terremoto del 2010. A causa dei rinvi è scaduto in febbraio il mandato del presidente uscente, Michel Martelly, e da allora governa un presidente di transizione, Jocelerme Privert. Sono 27 i candidati che si presentano al primo turno. Se nessuno di loro otterrà la maggioranza è previsto un ballottaggio in gennaio. Fra i favoriti vi è l’imprenditore agrario Jovenel Moise, detto “l’uomo delle banane”, che promette incentivi all’economia per creare nuovi posti di lavoro. La sua impresa, Agritrans, esporta anche in Europa. Vicino a Martelly, aveva vinto le elezioni dell’anno scorso che poi furono annullate in seguito alle contestazioni dell’opposizione. Gli osservatori dell’Ue e dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) avevano invece ritenuto che il voto fosse valido. Al secondo posto spicca l’esponente politico Jude Celestin del partito Lapeh. Legato all’ex presidente René Préval, promette lotta alla corruzione e rafforzamento delle istituzioni. Si era già presentato nel 2010, ma fu accusato di frode. Fra gli altri nomi vi è anche una donna, il medico Maryse Narcisse, candidata del partito Fanmi Lavalas dell’ex presidente Jean-Bertrand Aristide, che si presenta come paladina dei più poveri, dello stato di diritto e l’inclusione sociale. L’istruzione e l’indipendenza economica sono invece i cavalli di battaglia dell’ex senatore e sindaco Moise Jean Charles. Il voto si svolge in condizioni difficili dopo l’uragano, che ha causato migliaia di sfollati e riacceso i focolai di colera. Ma un altro rinvio avrebbe avuto gravi effetti per il paese. “E’ essenziale rispettare il calendario, ignorare il fuoco incrociato di chi sa di non potersi imporre alle urne e dotare Haiti di un presidente eletto“, commenta James Morrell, direttore di Haiti Democracy Project. “Se rimarrà un blocco politico ad Haiti, le necessità più urgenti delle persone continueranno a non essere affrontate“, aggiunge Astrid Hasfura, analista di Global Risk Insights. Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale e tre quarti della sua popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Dal terremoto del febbraio 2010, che ha causato oltre 220mila vittime, il paese è diventato dipendente dagli aiuti internazionali e dalla presenza di Ong. Non sempre il denaro inviato è stato ben gestito ed è mancato un coordinamento dell’intervento esterno, che spesso ha bypassato il governo di Por-au-Prince. Fatto, quest’ultimo, che ha finito “per indebolire lo stato che vogliamo appoggiare“, ha scritto nel suo rapporto l’ex presidente americano Bill Clinton, incaricato dell’Onu per la ricostruzione post terremoto.
Flagellato dalle catastrofi naturali e dipendente dagli aiuti internazionali: oggi Haiti al voto
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