Secondo un recente studio condotto dalla University of California e dalla University of Arizona e pubblicato sulla rivista Science, pare che l’anno di nascita condizioni, e non poco, le persone circa il ceppo di influenza dal quale verranno colpiti in età adolescenziale e adulta.
Il team di esperti che ha coordinato la ricerca, ha infatti analizzato 1400 pazienti colpiti dall’influenza e gli studiosi hanno rivolto la loro concentrazione su due specifici ceppi tipologici del virus influenzale: l’H5N1, che si riscontra più spesso nei bambini e negli adolescenti, e l’H7N9, che invece infetta per lo più gli adulti e gli anziani.
Sappiamo che entrambi i virus sono sottotipi dell’influenza A.
I ricercatori sottolineano come se una persona sia venuta a contatto con un determinato tipo di virus durante l’età infantile, sia dopo immune da questo per il resto della vita: “I nostri risultati mostrano chiaramente che questo imprinting immunologico durante l’infanzia dà una forte protezione contro un’infezione grave o la morte”, spiega l’autore James Lloyd-Smith. “Questi risultati ci aiuteranno a quantificare il rischio di particolari virus influenzali emergenti in grado di innescare un’epidemia futura”.
Dunque chi viene intaccato da un virus influenzale per la prima volta, sarà prontamente difeso dal proprio sistema immunitario che produrrà alcuni anticorpi utili per debellare l’emoagglutinina, un recettore che si trova sulla superficie del virus.
Inoltre i ricercatori hanno notato che le persone nate prima del 1968 sembrano essere più protette dal ceppo H5N1, mentre i nati dopo il 1968 sembrano in qualche modo essere immuni al virus H7N9 e, invece, più vulnerabili all’H5N1.
“Questo studio apre nuove frontiere nel settore della valutazione quantitativa del rischio per gli agenti patogeni emergenti”, spiega Lloyd-Smith. “Da sempre ci concentriamo sull’analisi delle proprietà dei virus e delle circostanze ecologiche che ne guidano l’accrescimento. Questi fattori sono sicuramente cruciali, ma oggi abbiamo scoperto che possiamo imparare ancora molto sul rischio di epidemie esaminando anche le informazioni sugli esseri umani, che abbiamo appena fatto in questo lavoro”.