Malati di Parkinson sempre più giovani: una persona su cinque ha meno di 50 anni al momento della comparsa dei sintomi iniziali. “Negli ultimi tempi sta emergendo un numero maggiore di casi giovanili rispetto al passato, anche se non sappiamo se questo aumento sia dovuto sostanzialmente a un migliore approccio alla malattia, cioè maggiore precisione diagnostica e accuratezza del medico nel rilevare i sintomi”. E’ il quadro tracciato da Nicola Modugno, responsabile del Centro Parkinson dell’Istituto neurologico Mediterraneo di Pozzilli (Isernia).
“Esiste una sfera di sintomi ‘pre-morbosa’ che caratterizza la persona prima che si manifesti la malattia. All’inizio possono presentarsi – afferma Modugno – disturbi del sonno e della sfera dell’umore, ansia, depressione, stitichezza, iposmia (ovvero la riduzione della nostra capacità di sentire gli odori). Ma attenzione: sono tutti elementi da considerare e validare con gli specialisti”.
Sono 250mila gli italiani colpiti dal Parkinson – Il morbo di Parkinson, una malattia di cui si teme di pronunciare persino il nome, date le sue capacità degenerative sull’equilibrio fisico e mentale di chi ne è colpito, in Italia interessa circa 250mila persone, metà ancora in età lavorativa. Numeri destinati a raddoppiare nei prossimi 15 anni, dal momento che ogni anno si registrano circa 6.000 nuovi casi. La malattia delle grandi menti – in passato ha aggredito personalità come Papa Giovanni Paolo II, il leader palestinese Yasser Arafat, lo stesso Adolf Hitler – alla sua virulenza associa costi elevatissimi. La spesa a carico del Ssn raggiunge 1,3 miliardi di euro ogni anno.
“Al momento – spiega all’Adnkronos Salute Nicola Modugno, responsabile del Centro Parkinson dell’Istituto neurologico Mediterraneo di Pozzilli (Isernia) – si conoscono tante possibili cause della malattia, ma non quella specifica. Sappiamo, però, che molti meccanismi possono entrare in gioco: ad esempio, esistono dei geni le cui alterazioni porterebbero alla cascata degenerativa che è alla base della morte delle cellule dopaminergiche, e quindi della malattia di Parkinson. Vi può essere, inoltre, un’interazione con l’ambiente, con sostanze tossiche”.
Il Parkinson “è certamente un problema sociale. Oggi l’assistenza ai malati di Parkinson – prosegue l’esperto – è lasciata alla fisioterapia, ma innumerevoli studi dimostrano che l’assistenza dovrebbe estendersi a tanti altri aspetti: reinserire i pazienti in un contesto sociale, aiutarli a non depauperare tutto il patrimonio della loro vita in termini di attività lavorativa e rapporti con la famiglia”.
Negli anni “si sono ampliate le conoscenze sulla patologia, sulle terapie e sulle conseguenze che il Parkinson può causare. Quando parliamo di Parkinson non pensiamo più al solo tremore, ma sappiamo che dobbiamo pensare a un’intera vita e a una globalità di sintomi. Da questo punto di vista, ripeto, è cambiato tutto. Tantissimi aspetti vanno considerati e studiati”.
“Le terapie farmacologiche sono tante – spiega ancora Modugno – il farmaco più utilizzato è la levodopa e rimane quello più efficace, usato dal 98% dei pazienti. Lo si può somministrare per via orale o per via infusionale con un apparecchio che consente diffondere la molecola direttamente nell’organismo del paziente attraverso lo stomaco”. Anche la fisioterapia “è sicuramente un’arma molto efficace a disposizione del paziente. Noi sappiamo che il disturbo del Parkinson riguarda la gestione degli automatismi dell’essere umano: dobbiamo insegnare ai pazienti che tali automatismi non vengono più in maniera spontanea, ma vanno pensati. Quindi la riabilitazione insegna loro che per camminare in maniera corretta bisogna pensare a come svolgere ogni singolo passo. In questo la fisioterapia ha fatto grandi passi in avanti”.
I centri per lo studio e la cura del Parkinson sono presenti in tutta Italia, e vi si accede come in qualsiasi ospedale. Esiste una mappatura fatta dall’Osservatorio dell’accademia Limpe-Dismov. Una sorta di ‘pagine gialle’ delle strutture specializzate. (AdnKronos)