Bersaglio mancato. L’obiettivo n.4 per lo Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite non è stato raggiunto. “Non è stato possibile ridurre di due terzi la mortalità infantile entro il 2015. E’ vero che dal 1990 ad oggi, la mortalità infantile si è dimezzata, – spiega il prof. Giovanni Corsello, presidente della SIP (Società Italiana di Pediatria) passando da 12,7 milioni a 5,9 milioni. Una riduzione epocale ma non ancora sufficiente. La sfida più impegnativa rimane la mortalità neonatale, con il 45% dei decessi tra 0 e 5 anni che si si concentra nei primi 28 giorni di vita.” Prematurità, polmonite, complicazioni durante il travaglio e il parto, diarrea, sepsi, malaria sono le cause principali della mortalità infantile. Quasi la metà di tutti i decessi sono in qualche modo associati a uno stato di malnutrizione. Oggi ben 16.000 bambini muoiono ogni giorno prima del quinto compleanno per cause che potrebbero essere evitate”.
Gli Stati a limitate risorse hanno un bisogno estremo di supporto ed iniziative concrete in ambito sanitario, e materno-infantile in particolare. Sono misure urgenti l’edificazione di nuove strutture specialistiche attrezzate, la fornitura di farmaci e vaccini, la dotazione di personale sanitario esperto e con competenze cliniche moderne e aggiornate. I Paesi più evoluti devono esportare lì cultura e conoscenze. Bisogna istruire gli operatori sanitari di quei Paesi e migliorare le capacità di quelle popolazioni di affrontare le emergenze sanitarie più acute. Percorsi integrati e condivisi di formazione sul campo, con spostamenti di personale nelle due direzioni in tempi e momenti diversi in rapporto alle tipologie professionali e alle realtà locali.
I tassi di mortalità infantile nei Paesi a risorse limitate si mantengono dunque su valori allarmanti. L’incidenza di patologie infettive e carenziali ha in questi luoghi le dimensioni di una vera e propria emergenza sanitaria. Durante la gestazione, malattie infettive e malnutrizione possono minare in modo decisivo e a volte fatale i processi di crescita e di sviluppo intrauterino, soprat-tutto in presenza di condizioni sociali precarie. Gli Stati europei e a più alto livello socio-economico devono attrezzarsi per garantire risposte concrete ed efficaci a queste popolazioni. La cultura dell’accoglienza deve riprendere a fiorire nelle nostre contrade, pervadere le istituzioni e coinvolgere la gente, in particolar modo di fronte a bambini che migrano, con o senza genitori o familiari che li accompagnino. Il fenomeno dei minori migranti non accompagnati è un dramma di cui non conosciamo bene i numeri reali.
“Parlare di urgenza/emergenza in pediatria vuol dire non affrontare una singola malattia o un intervento preventivo – spiega la prof. Liviana Da Dalt, direttore del pronto soccorso pediatrico – Pediatria d’Urgenza Azienda Ospedaliera Università di Padova – Significa organizzare un sistema efficiente per garantire la migliore assistenza possibile ai bambini. Questa deve essere garantita in tutte le strutture sanitarie non solo quelle delle città più importanti ma anche nei centri minori e nelle periferie.
L’obiettivo del progetto che la SIP ha attivato in Nicaragua nel 2011 è stato quello di migliorare la qualità dell’urgenza-emergenza in tutto il Paese. Questo è possibile creando una rete tra le strutture sanitarie periferiche e La Mascota, l’ospedale pediatrico della capitale Managua dotato di Pronto Soccorso pediatrico e di Terapia Intensiva pediatrica. La situazione esistente, prima del nostro arrivo, era che tra i vari centri operanti sul territorio non esisteva comunicazione, cooperazione e collaborazione. Inoltre in queste strutture spesso mancano risorse e attrezzature adeguate per affrontare le varie emergenze. I giovani pazienti muoiono dopo poche ore dall’arrivo nella Capitale. ”
Troppo spesso infatti la loro identità si perde nelle nebbie dei centri di “accoglienza” e di smistamento. Molti sfuggono o evadono dai centri in cerca di fortuna, spesso senza lasciare alcuna traccia.
Si tratta di progetti ambiziosi ma realizzabili, se si riuscisse a mettere insieme in modo virtuoso e stabile programmazione degli interventi e allocazione coerente delle risorse economiche, strutturali e di personale. In questa prospettiva vanno ricercate partnership istituzionali per creare link tra Paesi diversi, favorire la collaborazione e la sinergia pubblico-privato, coinvolgere enti di ricerca e di formazione. Fare rete, in altre parole; creare network tra tutti gli attori e stakeholder, in modo che ciascuno possa svolgere la propria parte e il proprio ruolo in un contesto chiaro e condiviso, a largo raggio. Non iniziative spot dal riverbero mediatico più o meno eclatante, ma progetti integrati, estesi e protratti nel tempo.
Progetto Nicaragua
“La SIP è presente con propri rappresentati nel Paese sudamericano fin dal 2010 quando abbiamo iniziato a collaborare con le istituzioni sanitarie locali e i colleghi d’Oltreoceano. La prima fase del nostro lavoro è stata fornire attrezzature per esami diagnostici e di monitoraggio a diverse strutture sanitarie del Paese. Sono state in seguito sviluppate 15 diverse linee guida per la cura delle principali delle patologie pediatriche che interessano i giovani abitanti del Paese. Infine abbiamo creato un sistema di reti tra i vari ospedali attraverso uno specifico sistema informatico. Grazie al web è stato dunque possibile mettere in collegamento stabile e duraturo ospedali che distano anche 400 KM tra loro. Adesso anche la più piccola struttura sanitaria pediatrica del Nicaragua può avere in tempo reale consulenze o assistenze dai colleghi della Capitale. Inoltre La Mascota può già avere tutte le informazioni sui pazienti che dovranno essere trasferiti per gli interventi più delicati. Stiamo infine creando un database ad hoc per la registrazione della casistica e la valutazione dei risultati clinici.
Si tratta di un progetto complesso e ambizioso. Dopo sei anni possiamo dire di essere riusciti a migliorare l’assistenza soprattutto valorizzando i centri periferici e la loro capacità di gestire il bambino. In cinque anni abbiamo assistito oltre 7.000 pazienti. Non abbiamo ancora a disposizione dati sulla riduzione dell’impatto della mortalità infantile. E’ ancora troppo presto per tracciare un bilancio.”