Previsioni Meteo: ecco come il vortice polare può influenzare la stagione invernale

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Il vortice polare è una profonda figura ciclonica, colma di aria molto gelida a tutte le quote, che staziona in modo semi-permanente sopra il mar Glaciale Artico. Esso è identificabile in un profondo vortice di bassa pressione, ben strutturato in quota, nella media troposfera, caratterizzato da bassissimi valori di geopotenziali, legati ad isoterme molto gelide, anche sotto i -45°C -50°C alla quota di 500 hpa. Molte scuole di meteorologia sinottica mitteleuropee e statunitensi ritengono che la formazione di questa figura ciclonica semi-permanente, sopra il Polo Nord, è da attribuire al flusso zonale (le forti correnti occidentali) che scorrendo alle alte latitudini, intorno alla Terra, danno vita ad un vortice depressionario, con tanto di isobare chiuse, approssimativamente circolari e concentriche attorno al mar Glaciale Artico.

In pratica non sarebbe altro che frutto delle impetuose “Westerlies” che scorrono a gran velocità lungo l’intero emisfero boreale. Fino agli anni settanta il concetto di vortice polare era sostituito da quello più semplice e generico di “fronte polare”, quella superficie ideale di separazione tra le masse d’aria artiche, che scivolano dalla Calotta Polare, e quella più calda e umida, in risalita dalle latitudini sub-tropicali.

Il termine, “fronte polare”, era stato coniato per la prima volta della scuola meteorologica norvegese, una delle più importanti a livello europeo e mondiale in quegli anni.

Trattandosi di una figura barica semi-permanente, nel corso dell’anno subisce dei periodici spostamenti che possono essere indotti da vari fattori, in sede troposferica, ma anche nella bassa stratosfera, come capita spesso nel cuore della stagione invernale. Con i suoi periodici spostamenti su larga scala il vortice polare riesce ad influenzare l’andamento meteo/climatico sull’intero emisfero boreale, grazie all’interazione a distanza con gli anticicloni subtropicali, presenti alle basse latitudini.

Nei periodi in cui la circolazione generale assume uno spiccato indice zonale, con una “Jet Stream” ben stirata e frequenti “Jet Streaks” (massimi di velocità propri della “corrente a getto”) che attraversano gran parte dell’emisfero, il vortice polare tende a ricompattarsi in sede artica, con una profondissima circolazione depressionaria principale, colma di aria gelida, attiva sopra il mar Glaciale Artico, a cui si associano altre aree cicloniche secondarie che rinvigoriscono importanti figure di bassa pressione, come la famosa depressione semi-permanente d’Islanda o la depressione delle Aleutine.

Quando si verifica tale configurazione le gelide masse d’aria artiche rimangono confinate alle alte latitudini, dove vi possono stagnare anche per più settimane, prima di un rallentamento dell’intenso flusso occidentale, che solitamente agevola l’azione dei “forcing” troposferici (avvezioni di aria calda) diretti oltre il circolo polare Artico. Quando la “Jet Stream” comincia a rallentare e a indebolirsi, per una nota legge fisica, essa comincia ad ondularsi su sé stessa, creando delle grandi onde su scala planetaria, meglio note come “onde di Rossby”, che impostano le principali figure bariche sull’intero emisfero.

La formazione delle famose “onde di Rossby”

Le “onde di Rossby”, lunghe da 1.000 a 10.000 km, si formano con una precisa successione di tempi e tendono a muoversi da ovest verso est, con una velocità di propagazione che è direttamente proporzionale alla loro lunghezza e alla velocità media di spostamento delle correnti nell’alta troposfera. In questo caso, con l’innesto dei cosiddetti scambi meridiani (scambi di calore fra tropici e polo), le masse d’aria calde, d’origine sub-tropicale, cavalcando le “onde di Rossby”, tendono a muoversi fino alle latitudini artiche, arrivando ad intaccare il vortice polare, iniettando al suo interno aria decisamente più calda che va a metterlo in crisi, spaccandolo in più parti, dette “lobi” del vortice polare.

Se il “forcing” è abbastanza intenso, supportato da una o più estese “onde di Rossby”, il vortice polare può frammentarsi in più circolazioni depressionarie che tendono ad estendersi verso sud, specie nel periodo invernale, andando così ad influenzare profondamente le condizioni meteorologiche nel continente europeo, asiatico o americano, in base all’espansione verso le basse latitudini dei vari “lobi” che ne fanno parte.

In questo caso, l’espansione verso sud dei vari “lobi”, si originano le intense ondate di freddo che trasportano le gelide masse d’aria, presenti sopra la Calotta Artica, verso l’Europa, l’Asia centro-settentrionale e il nord-America, con profonde avvezioni fredde che possono dare origini ad importanti episodi di gelo nella stagione invernale.

Per valutare l’intensità del vortice polare si può fare uso di un parametro importante come l’AO, l’Oscillazione Artica (in inglese Arctic Oscillation).

Quest’ultima è correlata con l’indice NAO, l’Oscillazione Nord Atlantica (in inglese North Atlantic Oscillation), indicante le oscillazioni di pressione tra l’Islanda, sede di una profonda area depressionaria, e le Azzorre, dove invece staziona per gran parte dell’anno l’importante anticiclone dinamico sub-tropicale.

Il rapporto tra il vortice polare e il fenomeno dello “Stratwarming”

Con il termine “Stratwarming” ci si riferisce ad un anomalo riscaldamento della stratosfera terrestre, indotto da vari fattori, ancora da definire. Fra questi vi potrebbero rientrare l’attività solare e l’intensità delle onde planetarie che attraversano l’intero emisfero. Lo “Stratwarming” si presenta quasi sempre nel periodo invernale, in più sembra interessare in misura maggiore l’emisfero settentrionale, in misura minore quello meridionale, dove il fenomeno è ben più raro.

Questo anomalo riscaldamento della bassa stratosfera, una volta attivo, tende gradualmente ad espandersi verso l’alta troposfera, con un importante aumento termico che ha delle conseguenze importanti sull’evoluzione meteorologica al suolo.

Lo “Stratwarming” è in grado di produrre una rottura o separazione (detto “split”) in due o più “lobi” del cosiddetto vortice polare.

Lo “split” del vortice polare evidenziato dal modello del Polar Weather Group, si nota l’azione a tenaglia delle due grandi onde troposferiche

Spezzandosi in più “lobi”, che tendono a muoversi verso le latitudini più meridionali (in genere quelli principali si collocano tra l’Artico canadese, la Scandinavia e la Siberia orientale), apportando condizioni di maltempo, nevicate e un consistente calo termico fra Europa, nord-America e Asia centro-settentrionale, sul Polo Nord si forma un’area di alta pressione, con massimi barici che possono superare pure i 1040 hpa.

 

Le più grandi ondate di gelo che hanno investito il continente europeo nel 1929, 1963 e 1985, sono tutte associate ad un importante evento di “Stratwarming”.

In genere, non appena gli effetti dello “Stratwarming” iniziano a dissiparsi, il vortice polare può ricomporsi dopo 15 giorni lungo le latitudini artiche.

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