Il vortice polare è una profonda figura ciclonica, colma di aria molto gelida a tutte le quote, che staziona in modo semi-permanente sopra il mar Glaciale Artico. Esso è identificabile in un profondo vortice di bassa pressione, ben strutturato in quota, nella media troposfera, caratterizzato da bassissimi valori di geopotenziali, legati ad isoterme molto gelide, anche sotto i -45°C -50°C alla quota di 500 hpa. Molte scuole di meteorologia sinottica mitteleuropee e statunitensi ritengono che la formazione di questa figura ciclonica semi-permanente, sopra il Polo Nord, è da attribuire al flusso zonale (le forti correnti occidentali) che scorrendo alle alte latitudini, intorno alla Terra, danno vita ad un vortice depressionario, con tanto di isobare chiuse, approssimativamente circolari e concentriche attorno al mar Glaciale Artico.
Il termine, “fronte polare”, era stato coniato per la prima volta della scuola meteorologica norvegese, una delle più importanti a livello europeo e mondiale in quegli anni.
Nei periodi in cui la circolazione generale assume uno spiccato indice zonale, con una “Jet Stream” ben stirata e frequenti “Jet Streaks” (massimi di velocità propri della “corrente a getto”) che attraversano gran parte dell’emisfero, il vortice polare tende a ricompattarsi in sede artica, con una profondissima circolazione depressionaria principale, colma di aria gelida, attiva sopra il mar Glaciale Artico, a cui si associano altre aree cicloniche secondarie che rinvigoriscono importanti figure di bassa pressione, come la famosa depressione semi-permanente d’Islanda o la depressione delle Aleutine.
Le “onde di Rossby”, lunghe da 1.000 a 10.000 km, si formano con una precisa successione di tempi e tendono a muoversi da ovest verso est, con una velocità di propagazione che è direttamente proporzionale alla loro lunghezza e alla velocità media di spostamento delle correnti nell’alta troposfera. In questo caso, con l’innesto dei cosiddetti scambi meridiani (scambi di calore fra tropici e polo), le masse d’aria calde, d’origine sub-tropicale, cavalcando le “onde di Rossby”, tendono a muoversi fino alle latitudini artiche, arrivando ad intaccare il vortice polare, iniettando al suo interno aria decisamente più calda che va a metterlo in crisi, spaccandolo in più parti, dette “lobi” del vortice polare.
Per valutare l’intensità del vortice polare si può fare uso di un parametro importante come l’AO, l’Oscillazione Artica (in inglese Arctic Oscillation).
Il rapporto tra il vortice polare e il fenomeno dello “Stratwarming”
Questo anomalo riscaldamento della bassa stratosfera, una volta attivo, tende gradualmente ad espandersi verso l’alta troposfera, con un importante aumento termico che ha delle conseguenze importanti sull’evoluzione meteorologica al suolo.
Lo “Stratwarming” è in grado di produrre una rottura o separazione (detto “split”) in due o più “lobi” del cosiddetto vortice polare.
Spezzandosi in più “lobi”, che tendono a muoversi verso le latitudini più meridionali (in genere quelli principali si collocano tra l’Artico canadese, la Scandinavia e la Siberia orientale), apportando condizioni di maltempo, nevicate e un consistente calo termico fra Europa, nord-America e Asia centro-settentrionale, sul Polo Nord si forma un’area di alta pressione, con massimi barici che possono superare pure i 1040 hpa.
Le più grandi ondate di gelo che hanno investito il continente europeo nel 1929, 1963 e 1985, sono tutte associate ad un importante evento di “Stratwarming”.
In genere, non appena gli effetti dello “Stratwarming” iniziano a dissiparsi, il vortice polare può ricomporsi dopo 15 giorni lungo le latitudini artiche.