I terremoti che negli ultimi mesi hanno falcidiato l’Appennino al Centro Italia hanno riproposto in modo prepotentemente attuale il tema del rischio sismico nel nostro Paese: da agosto assistiamo (purtroppo sconfortati) ad una marea di dichiarazioni e sproloqui più o meno tecnici, più o meno “bufalari”, più o meno ciarlatani su tutto e il contrario di tutto, dalle televisioni fino ai social media. Siamo stati impegnati, nelle ultime settimane, a combattere colpo su colpo le tante bufale che hanno accompagnato questa “crisi” sismica, prima su tutte quella – la più clamorosa – sulla magnitudo “taroccata” dallo Stato per non pagare i danni. Abbiamo difeso la scienza, abbiamo provato a contrastare la deriva dell’ignoranza e del complottismo infondato, abbiamo cercato – non senza difficoltà – di aprire gli occhi ai cittadini sui rischi derivanti dai deliri dei tanti ciarlatani in materia.
Adesso, però, è doveroso porre una riflessione che riteniamo imprescindibile nel dibattito scientifico. Perché se da un lato la deriva populista di bufale e complotti frutto d’ignoranza e speculazioni è certamente deprecabile, dall’altro la saccenza, l’arroganza e la chiusura di una parte del mondo scientifico merita lo stesso tipo di ribrezzo e repulsione. La convinzione che tutto ci sia già noto, che non sia possibile scoprire più nulla, che ogni conoscenza acquisita sia indiscutibile ci ricorda il processo della Santa Inquisizione che accusava Galilei di “eresia”.
Riteniamo, invece, che proprio sulla geologia e sulla sismologia abbiamo ancora tanto da scoprire. Non è affatto condivisibile l’affermazione che “i terremoti non si possono prevedere“, utilizzata con presunzione e arroganza per non fornire risposte ed eludere le richieste della popolazione soltanto perchè è un discorso complesso. Ma il compito di un bravo scienziato è anche quello di sapersi spiegare, di essere un divulgatore. I terremoti, infatti, non si possono prevedere “con precisione“, nel senso che non possiamo sapere quando esattamente si verificherà una scossa. Ma sappiamo benissimo dove si verificherà, e più o meno di quale magnitudo massima potrà essere. A dircelo è proprio la scienza geologica. Come si fa, quindi, ad insistere con la storiella che “i terremoti non si possono prevedere“? E’ un atteggiamento scorretto, che alimenta il fatalismo medievale della società, spingendo la gente alla rassegnazione. “Tanto, non si può prevedere. Che Dio ce la mandi buona. Chi vivrà vedrà. E se arriva arriva e moriremo tutti. Amen“.
Questa è forse scienza? La scienza, al contrario, dovrebbe spingersi oltre gli attuali limiti conoscitivi. Dovrebbe scoprire cose nuove, fornire risposte sempre più pregnanti, aprire nuovi orizzonti. Siamo convinti che un giorno sarà possibile anche prevedere i terremoti in modo preciso, più o meno come accade oggi con il meteo. Fino a poco più di cento anni fa, le previsioni del tempo erano considerate esattamente come oggi consideriamo chi si azzarda a prevedere i terremoti. Ma adesso almeno entro le 48-72 ore abbiamo raggiunto un’affidabilità che sfiora il 100%, come era inimmaginabile anche per i più ottimisti di fine ‘800. Questi processi storico-scientifici non ci insegnano nulla? E’ possibile che ancora nel 2016 siamo costretti a rimanere chiusi nell’ottusità del “non è possibile“?
E’ vero, siamo circondati da bufalari e ciarlatani. Ma anche su questo il mondo scientifico ha le sue responsabilità, perchè in Italia i geologi hanno completamente disimpegnato la loro attività dallo studio sulla previsione dei terremoti lasciando spazio, appunto, ai ciarlatani. Eppure di studi scientifici sui precursori sismici, sulla prevedibilità delle scosse e sui meccanismi futuri delle faglie – seppur in modo ancora embrionale – ce ne sono eccome: i riferimenti letterari sono numerosissimi, e anche l’Italia non è da meno.
Su MeteoWeb abbiamo dato ampio spazio ai pochi che, con estremo coraggio, hanno investito la loro carriera su questi studi. E’ il caso del prof. Giuliano Panza, uno dei sismologi più preparati d’Italia che guida un team di esperti dell’Università di Trieste. Già nel 2012 ci spiegava come “dire che i terremoti non si possono prevedere significa fare disinformazione”. Nella stessa direzione vanno gli studi del prof. Enzo Mantovani del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Siena. Sempre su MeteoWeb, pochi mesi fa, ha lanciato un appello al mondo scientifico: “facciamo come iniziò il meteo, indicazioni utili alla prevenzione”.
Sulla situazione sismica attuale, sia Panza che Mantovani in base ai dati elaborati dai loro centri di studio, indicano – partendo da approcci e studi differenti – la stessa cosa per i prossimi mesi-anni. E cioè, la grande preoccupazione per l’Appennino centro/settentrionale, tra Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria dove – in base alle attuali conoscenze scientifiche – è plausibile attendersi altre nuove forti scosse.
Purtroppo, però, l’élite del mondo scientifico concede poco spazio e soprattutto pochi investimenti a questi studi, che invece dovrebbero essere prioritari. Negli ultimi mesi abbiamo osservato e ascoltato sui mass-media molti geologi che in realtà ci sono sembrati “mascherati” da ingegneri edili. La domanda che ci permettiamo di farvi è la seguente:
Cari geologi, perchè avete deciso di diventare geologi se poi volete studiare le case e non il suolo?
In primis Mario Tozzi, che è il più popolare in televisione e quello che parla sempre meno di scienze naturali e sempre più di scienze antropiche. Che sia il clima o la geologia, si focalizza sull’inquinamento e sulle costruzioni anzichè spiegare i meccanismi dell’atmosfera o del sottosuolo. E poi a ruota, tanto per citarne alcuni che hanno avuto grande visibilità negli ultimi tempi, il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Francesco Peduto, il Presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana Maria Teresa Fagioli, il geologo e sismologo dell’Università di L’Aquila Antonio Moretti, il presidente dell’ordine dei Geologi Abruzzo Nicola Tullo, la geologa del Consiglio Nazionale Adriana Cavaglia. Sono solo una rappresentanza, ma in realtà la stragrande maggioranza dei geologi italiani continuano a focalizzare le loro attenzioni sulle costruzioni, materiali e opere umane. Un compito che spetta invece agli ingegneri.
Con questa riflessione non vogliamo assolutamente mettere in discussione l’importanza della prevenzione e delle costruzioni antisismiche, su cui ci siamo sempre battuti e sempre ci batteremo. Ma una cosa non esclude l’altra, e se da un lato gli ingegneri fanno gli ingegneri e pensano a costruire bene anche con il supporto dei geologi che devono fornire le indicazioni utili alle costruzioni più adatte in base al tipo di suolo (appunto, non oltre!), dall’altro i geologi dovrebbero impegnarsi di più per studiare quella che è la scienza naturale a cui hanno deciso di dedicare la loro vita.
La geologia, infatti, è la branca delle scienze della Terra che studia la Terra e i processi che la plasmano e la cambiano. Nella storia, ha fornito la prova principale per la tettonica delle placche, ha ricostruito la storia della vita e dell’evoluzione delle specie viventi, ha ricostruito le evoluzioni dei climi del passato, ha fornito gli elementi per la comprensione di molti fenomeni naturali. Ma negli ultimi anni, anziché continuare ad indagare su questo, fornire ulteriori spiegazioni, rispondere a questioni irrisolte, fare nuove scoperte, sembra aver deragliato su un binario che non le compete e soprattutto nel campo sismico vede tanti geologi impegnati a focalizzare tutte le loro risorse e conoscenze sulle costruzioni antisismiche.
Eppure, per definizione, “i geologi studiano la struttura e i processi che dominano la Terra“. Invece quella scienza che si occupa della progettazione, direzione lavori, produzione cantieristica, collaudo, manutenzione degli edifici si chiama “ingegneria edile“. A fronte della deriva “antropica” della geologia contemporanea, uno dei suoi più grandi padri si starà probabilmente rivoltando nella tomba. Lo scozzese James Hutton (nella foto), infatti, tra 1760 e 1790 aprì la strada in modo rivoluzionario alla geologia moderna, con ricerche empiriche sul campo, tutte strettamente legate alle scienze naturali. Prima di lui era stato il naturalista italiano Ulisse Aldrovandi, pur senza competenze specifiche, a utilizzare il termine “geologia” nel 1603 rilanciando le prime ipotesi che la Terra avesse un comportamento dinamico. Ed era, appunto, un naturalista.
Quanti geologi dopo i terremoti dell’Appennino sono andati sul campo a studiare, con appositi strumenti misurativi, la deformazione del suolo, le rotture delle faglie in superficie, i vulcanelli di fango, la scomparsa o ricomparsa di nuovi e vecchi corsi d’acqua, i fenomeni di liquefazione del suolo ecc. ecc.? E quanti, invece, hanno sproloquiato su calcestruzzo, travi e tetti delle abitazioni e sull’esigenza di costruzioni antisismiche? Ahi-noi, molti di più…
E quanti geologi passano la giornata dietro lo schermo di un computer a “smontare” gli studi sulla sismicità indotta, che in realtà rispecchiano in modo fedele e reale quello che accade in molte circostanze? Ovviamente non è il caso dell’Appennino, ci mancherebbe. Ma c’è anche una certa “scienza” che nega anche quelli realmente riconducibili alle attività umane. Quella stessa presunzione e chiusura di cui parlavamo in apertura.
Tornando ancora una volta indietro nel tempo, chiudiamo con una storia. Con una bella storia. Quella di Sir Francis Beaufort e del suo protetto Robert Fitzroy. Francis Beaufort era un un ammiraglio, cartografo ed esploratore britannico, Robert FitzRoy un navigatore britannico diventato celebre per aver condotto in qualità di comandante il brigantino Beagle nel viaggio in Patagonia e nello stretto di Magellano, trasportando come passeggero il naturalista Charles Darwin la cui esperienza fu la scintilla che innescò le teorie di quest’ultimo sull’origine della specie.
Beaufort e FitzRoy furono i pionieri della meteorologia sinottica: erano ridicolizzati dalla stampa dell’epoca (parliamo degli anni ’40 e ’50 dell’800) ma il loro lavoro ottenne credito scientifico, fu accettato dalla Royal Navy e formò la base per tutta l’odierna conoscenza delle previsioni meteorologiche. Proprio grazie al loro lavoro, il 1º agosto 1861 sul “The Times” comparvero per la prima volta le previsioni del tempo con un bollettino redatto proprio da Robert FitzRoy (vedi immagine sulla destra). Oggi la geologia e la sismologia sono ancora in cerca dei loro Beaufort e FitzRoy.
Potremmo iniziare dal caso di Haicheng in Cina, dove nel 1975 furono evacuati un milione di cittadini per la previsione di un imminente sisma che poi effettivamente si verificò con magnitudo 7.3.
I segnali che salvarono la vita a centinaia di migliaia di persone furono tantissimi: lo spostamento degli equilibri della falda idrica, le deformazioni geodetiche, i comportamenti anomali di gatti ed altri animali domestici nei giorni precedenti la scossa e la registrazione di una serie di piccole scosse premonitrici, impercettibili ai soli sensi umani. Sono passati 41 anni, e di passi avanti in tal senso ne abbiamo fatti pochi o addirittura in Italia siamo tornati indietro se ancora oggi c’è chi continua a sgolarsi per dire che “i terremoti non si possono prevedere“. Piuttosto, la scienza lavori in tal senso: così facendo, raggiungerà nuovi importanti traguardi, certamente arriverà un giorno a prevedere anche i terremoti così come prevediamo il tempo, ed occupandosi con metodo scientifico di questi temi non lascerà più spazio ai ciarlatani.