Il terremoto che ha ridotto in macerie il paese di Castelluccio di Norcia sembra aver tuttavia risparmiato le lenticchie di Castelluccio, il tradizionale legume che accompagna le festivita’ di fine anno quale segno augurale di prosperita’ e fortuna. Il raccolto della specialita’ umbra a indicazione geografica protetta si e’ svolto, come previsto dal disciplinare di produzione, entro il mese di agosto. E’ in salvo, dunque. “Vanno tuttavia verificati eventuali crolli dei magazzini e problemi di distribuzione, – avverte Rolando Manfredini, esperto Qualita’ di Coldiretti – ma questo classico esempio dell’agricoltura di montagna, eroicamente coltivata in 2mila ettari attorno a quota 1.400 metri e all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, non dovrebbe dunque mancare a Capodanno“. Di questa rinomata produzione Igp vengono prodotte un milione e 600mila chilogrammi. “Non proprio di nicchia – commenta Manfredini – ma certamente di alta qualita’ e questo ha permesso finora di spuntare un prezzo sostenibile per questo legume che e’ molto identitario per la comunita’ locale“. Ogni anno viene fatta una processione per chiedere la grazia alla Madonna di avere acqua per le lenticchie. E la fioritura sulla Piana carsica attira, tra giugno e luglio, migliaia di escursionisti ed e’ tra gli eventi agricoli piu’ seguiti tra i social. Dopo il terremoto che ha fatto scendere il suolo anche di 70 centimetri “occorre garantire un futuro – e’ l’appello di Coldiretti – a questo patrimonio umbro. Se Castelluccio si spopola, addio lenticchia Igp. Se non ci sara’ piu’ modo di convogliare acqua, addio rese da 800 chili per ettaro“. Questa tipicita’ e’ anche simbolo di biodiversita’ perche’ nasce in condizioni estreme per l’agricoltura. In cucina poi la sua buccia tenera e sottile consente la cottura senza ammollo, riducendo notevolmente tempi di preparazione. E i vegan e cultori del regime alimentare vegetariano ne apprezzano notevoli qualita’ nutritive. Castelluccio ormai e’ un paese fantasma ma sono rimaste una ventina di persone circa, tra allevatori, pastori, casari: vivono in una roulotte e due container che hanno rimediato da soli. “Questo paese e’ morto e sepolto – dice all’Ansa Adorno Pignatelli, allevatore – ma noi continueremo a seminare i fiori, perche’ non saremo noi a lasciarlo morire definitivamente”.
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